Ieri sera le strade del centro di Treviso si sono colorate di nero e fucsia. Questi, infatti, i colori scelti dai manifestanti della Street Parade che, dalle 18 alle 22, hanno camminato fianco a fianco per ribadire il loro no alle discriminazioni di genere.

 

Nel giorno in cui, in tutto il mondo, veniva celebrata la donna, oltre 250 tra donne, uomini e bambini hanno seguito il percorso da Porta Santi Quaranta fino a Santa Caterina, passando per le vie del centro storico. Tra tanti sorrisi e abbracci hanno protestato in difesa delle donne perché “la protesta deve partire dal basso, non solo dalle leggi” come ha ribadito una delle organizzatrici al megafono alla partenza del corteo.

 

La manifestazione, organizzata dal Centro sociale Django, da sempre in prima linea per combattere ogni tipo di discriminazione, ha raccolto il monito di Non una di meno, percorso nato a Roma tra diverse realtà femministe e che agisce in nome della libertà di scelta e del rispetto delle differenze di genere.

 

Ed è dalla chiara voce degli organizzatori che capiamo la loro scelta di scendere in piazza. Come sostiene Ruggero che lavora in un sindacato dove, ogni giorno, assaggia piccole grandi discriminazioni di genere, dal mobbing sul lavoro esercitato nei confronti di una donna incinta allo scarto salariale tra uomini e donne. Gaia Righetto e Melania Pavan denunciano, invece, il fatto che nella provincia trevigiana non ci sia la possibilità di avere medici non obiettori e che, nonostante l’ Ospedale di Treviso tenti di cambiare le cose, l’ enorme area da coprire dimostra come ancora ci sia tanto da fare in tal senso.

 

Battaglie di cui queste giovani anime si fanno carico capendo che la strada da percorrere è ancora lunga ma sapendo di non essere sole a camminare verso la meta. Con loro, infatti, in prima linea alla Street Parade anche chi, da donna, quelle e altre battaglie le ha combattute un po’ di anni fa e pur avendo conquistato traguardi importanti si trova, adesso, a sperare che le conquiste non vengano erose.

 

E’ il caso di Ione e Flavia, splendide donne sugli anta, che si autodefiniscono “vecchie femministe” orgogliose di esserlo e che dichiarano “negli anni 70 e 80 abbiamo combattuto per il divorzio, per l’ aborto e per i consultori. Adesso ci auguriamo che ciò che abbiamo fatto non vada perduto. Diciamo alle ragazze di oggi di continuare a combattere e a far sentire la propria voce perché i nostri sforzi non siano stati inutili”.

 

E noi tutti ci auguriamo che sia così, che ci sia ancora la voglia di protestare per ciò che è giusto e doveroso, come il rispetto e la libertà di scelta. Ma soprattutto ci auguriamo che, in un futuro non troppo lontano, non ci sarà più il bisogno di farlo.