È andata male. Le elezioni scozzesi hanno sancito la prosecuzione di una Gran Bretagna unita anziché la storica scissione tra Scozia e Inghilterra. Il margine del 10% tra i SÌ (55,3%) ed i NO (44,7%) è stato, tra l’altro, sufficientemente netto da poter parlare di netta maggioranza di antisecessionisti, anche se tutto comunque non sarà come prima. La promessa di David Cameron di dare più poteri alla Scozia dovrà essere mantenuta e conseguentemente nel suo prossimo futuro la Scozia avrà maggiori possibilità di gestire in modo più autonomo il fisco, i sussidi per la casa, i fondi per il lavoro ed altre tasse. Possibilità che stuzzicano la fantasia dei venetisti, a onor del vero delusi dal risultato elettorale scozzese che poteva aprire le porte a ben più ampie secessioni in Europa, ma comunque ancora speranzosi di poter giungere ad un referendum per l’indipendenza del Veneto, sul modello di quello scozzese. “Ora parlare di indipendenza non sarà più un tabù. La lezione di democrazia della Scozia sia di esempio a Renzi…”, hanno tuonato i membri del Carroccio dall’alto della Festa dei Veneti che si è svolta lo scorso 21 settembre a Cittadella. Una manifestazione molto partecipata, che ha visto la presenza sul palco del leader Matteo Salvini, ma anche di Umberto Bossi, del governatore del Veneto Luca Zaia, del sindaco di Verona Flavio Tosi e del sindaco di Padova, Massimo Bitonci. Tutti a chiedere a gran voce un referendum. A detta dei più, infatti, le recenti vicende scozzesi rafforzano ancor più la richiesta di un pronunciamento democratico sulla questione veneta. Serve però proprio parlare di un Veneto come Stato indipendente? Forse basterebbe ascoltare le voci, sempre più insistenti, di una regione che per anni è stata motore dell’Italia e che ora chiede maggiore autonomia e qualche riconoscimento.