La voglia di indipendenza del “popolo veneto” passa dal bilinguismo. Ma il disegno di legge regionale presentato da quattro Comuni (Resana, Grantorto, Santa Lucia di Piave e Segusino) per il riconoscimento della “minoranza linguistica veneta” rischia di fare i morti in casa, spaccando in due la coalizione di centrodestra che governa Palazzo Ferro Fini.

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Al momento del voto in aula, mercoledì scorso, Forza Italia ha fatto marcia indietro sul provvedimento caldeggiato da Lega e Lista Zaia, che ne hanno fatto invece un vessillo identitario, almeno fino a un paio di giorni fa. Visto come si sono messe le cose, a proposta bocciata, i “venetisti”, governatore in primis, hanno cercato di ridimensionare la querelle, declassandola a livello di “normale dialettica politica”.

L’obiettivo del testo di legge è quello di riconoscere ai veneti una peculiare identità, con l’applicazione di una Convenzione europea per la tutela delle minoranze, le cui ricadute pratiche dovrebbero consistere nel rilascio da parte dell’Istituto della lingua veneta di un “patentino del bilinguismo”, corsi obbligatori di veneto nelle scuole, posti riservati ai veneti nella pubblica amministrazione, doppia odonomastica (nomi delle strade in italiano e in lingua locale), perfino programmi specifici della Rai. Insomma, un po’ come avviene nel Sud Tirolo.

Il confronto sul discusso provvedimento (anche i 5Stelle si sono schierati contro, nonostante avessero dato l’ok per la compatibilità finanziaria) riprenderà martedì prossimo, quando inizierà l’iter di approvazione del bilancio. All’indomani del referendum, dunque, sapremo se potrà mai esserci una piazza Bepi Garibaldi o una via Lele Manin.