EditorialeAylanAylan Kurdi, 3 anni appena, nessuna colpa, se non quella di essere siriano e di aver tentato, con i genitori, di scappare dalla guerra. Proprio lui è riuscito lì dove tutti avevano fallito: smuovere le coscienze. La foto del suo corpo senza vita su una spiaggia turca vicino a Bodrum, pubblicata dal britannico The Indipendent, ha fatto il giro del mondo. Obiettivo del quotidiano: far sì che la Gran Bretagna accogliesse la giusta quota di migranti dall’Africa e dal Medio Oriente in un momento in cui in patria si respirava aria di chiusura. Ma la potenza di quell’immagine, scattata dalla fotografa Nilüfer Demir dell’agenzia turca DHA, ha fatto molto di più.

La linea del premier Cameron si è subito ammorbidita. Le Nazioni Unite hanno tuonato: “Quest’immagine terribile deve attirare l’attenzione del mondo intero sulla crisi dei rifugiati e dei migranti. Bisogna affrontate le cause che sono alla radice della crisi in Siria e Iraq e trovare una soluzione politica”. L’Unione Europea, infine, ha in fretta approvato il piano per ricollocare i 120mila rifugiati in Italia con la Germania in prima linea e Francia e Spagna subito dietro.

In qualche giorno è cambiato tutto. Ed è cambiato perché quell’immagine, grazie ai social network, è diventata virale: su Twitter, in primis, con l’hashtag turco #KiyiyaVuranInsanlik, che significa “umanità trascinata a riva”. In molti hanno deciso di condividerla. E anche chi, troppo agghiacciato dalla violenza, non l’ha fatto ne ha comunque parlato.

Un movimento virtuale di coscienze che i grandi della terra non potevano ignorare. Ci si interroga sui mezzi di informazione se sia giusto o meno pubblicare foto tanto dolorose. A partire dal principio che i bambini vanno protetti. Purtroppo a convincerci finora non è stata la disperazione a un passo da noi. E allora sì, un’immagine che lascia senza parole e che è uno schiaffo vero, va pubblicata.

Chiara Semenzato