Sono ormai passati due anni da quando, in un’umida mattinata di giugno, Venezia si svegliò scoprendo che il suo sindaco, allora l’avvocato Giorgio Orsoni, era finito in manette, e assieme a lui altre 34 persone (mentre per un altro centinaio erano state avviate le indagini), tutti in qualche modo implicati in quello che verrà molto semplicemente indicato come “lo scandalo Mose”, ovvero un giro faraonico di corruzione, fondi neri, tangenti e consulenze fasulle imperniato attorno alla “grande opera della laguna”, il tanto contestato sistema di dighe mobili che da oltre dieci anni si spera possa essere la soluzione all’acqua alta veneziana; a distanza di venticinque mesi, comunque, l’incredibile matassa di illeciti e abusi ancora non risulta pienamente sbrogliata e lo stesso ingegnere Giovanni Mazzacurati, numero uno del Consorzio Venezia Nuova e principale teste di accusa nel processo ancora in corso, resta ben distante dalle aule italiane, rintanato nella sua abitazione negli Stati Uniti, da cui non si potrebbe muovere per “motivi di salute”.

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Eppure, anche senza ascoltare quello che è considerato il vero cervello dell’intero “sistema Mose”, le indagini non si fermano e negli ultimi tre anni (il lavoro degli inquirenti era iniziato ben prima che le forze dell’ordine suonassero alla porta di Orsoni) sono molti i meccanismi illegali emersi dalle torbide acque in cui operava il Cvn, spessissimo con il benestare di istituzioni e forze dell’ordine. Se lo stesso Mazzacurati, ancora nel 2013, aveva ammesso di aver favorito e privilegiato “le piccole imprese” nelle gare e nelle assegnazioni, in seguito gli inquirenti non hanno faticato troppo per ricostruire i complicati sistemi con cui il Consorzio sovra fatturava, generava fondi neri e investiva somme ingenti per oliare ingranaggi e ricompensare la sua cerchia interna; è delle scorse settimane, ad esempio, la scoperta di oltre 260mila euro spesi dalla società per acquistare olio d’oliva di alta qualità, prodotto proprio dall’azienda agricola di Giuseppe Mazzacurati, figlio dell’ingegnere: il Cnv negli anni aveva ordinato almeno 20mila bottiglie, spesso poi utilizzate come regali o bonus da elargire agli amici influenti, ma comunque pagate con fondi che erano destinati alla salvaguardia della laguna e indicizzate come “spese di rappresentanza”. La prolungata assenza dall’Italia del padre-padrone, comunque, non ha impedito al processo di continuare, e anzi forse proprio approfittando di quella sedia vuota in molti non hanno esitato a puntare il dito contro Mazzacurati: Federico Sutto, ad esempio, testimone contro l’ormai ex sindaco di Venezia, ha spiegato come sarebbe stato sempre l’ingegnere a dargli indicazioni precise: “Ho consegnato tre buste contenenti denaro a Giorgio Orsoni, per conto del presidente. Ci davamo appuntamento in studio da lui, io gli consegnavo le buste, lui mi ringraziava e mi diceva di ringraziare Mazzacurati, poi ci salutavamo. In tutto gli ho dato 250 mila euro.

Per Mazzacurati – ha ribadito Sutto davanti ai magiatrati – era un investimento sicuro: era il primo sindaco favorevole al Mose ed era un suo amico”. La testimonianza chiave, comunque, al momento resta quella di Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato del gruppo Mantovani e di fatto uno dei principali luogotenenti del numero uno del Cvn; dopo aver ribadito come Mazzacurati e il Consorzio fossero al vertice dell’intero sistema di tangenti, mentre tutte le altre ditte e società seguivano le indicazioni e si rimettevano agli ordini, Baita ha anche spiegato che la metodologia era chiara e conosciuta: chiunque volesse partecipare a costruzione e manutenzione doveva cedere il dodici per cento degli utili e restituire la metà del denaro ottenuto dal Cvn in lavori, tutti soldi che poi andavano a costituire gli sterminati fondi neri con cui veniva pagato il consenso di politici e forze dell’ordine conniventi, in una rete di clientelismi senza fine, definita davanti ai giudici come sterminata e trasversale, estesa tanto a destra quanto a sinistra, al fine di garantire un lungo futuro assicurato per il Consorzio Venezia Nuova.

Nelle ultime settimane ha cominciato in parallelo a muoversi anche la Corte dei Conti, che con un primo provvedimento di mora ha iniziato le procedure di danno erariale per almeno 61 milioni di euro; nel mirino una trentina di nomi, accusati di aver approvato spese fuori mercato, con aumenti che, secondo i magistrati, andavano dal 22,5 per cento fino al 74 per cento. Ci sono poi le già citate sovra fatturazioni, prime tra tutte quelle per i famigerati sassi da annegamento, che prima di raggiungere i fangosi fondali della laguna nelle carte del Cvn figurano come passati per Croazia e Canada, giusto per gonfiare i prezzi: è proprio da qui, infatti, che la Corte dei Conti ricaverebbe il disavanzo di 61 milioni, mettendo questa volta a rischio anche i beni e i patrimoni personali di Mazzacurati, per ora rimasti intoccati durante l’inchiesta (a differenza di quanto è toccato, invece, all’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan). Continua a risultare estraneo alla vicenda, anche nel corso di questa nuova tornata di testimonianze, l’attuale presidente della Regione, Luca Zaia, che infatti appena qualche settimana fa ha ribadito di non aver mai “ricevuto alcun aiuto” dal Consorzio e da Giovanni Mazzacurati e di non avere quindi niente a che fare neppure con le decisioni prese dal suo ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, finito in prigione nell’ambito della stessa inchiesta.

Giacomo Costa

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