A Riese Pio X si decreta il miglior musetto dell'anno

Il miglior musetto dell’anno? Quello che si decreta giovedì 17 gennaio, giorno in cui la Chiesa celebra Sant’Antonio abate, precursore dell’ascetismo monastico cristiano (Coma, Qumans, Egitto 250/251 – deserto della Tebaide 17 gennaio 356/357),  protettore degli animali domestici e del bestiame(che vengono benedetti), del lavoro del contadino ed affini e/o derivati. Quindi sono compresi macellai, fornai, pizzicagnoli, salumieri, tosatori, canestrai. E ancora patrono del fuoco, delle malattie della pelle e persino dei becchini.

Sant'Antonio Abate protettore degli animali
Sant’Antonio Abate protettore degli animali

Il maialino, il santo e il diavolo

Tradizionalmente il Santo abate  è rappresentato, nella classica iconografia sacra, seguito da un roseo maialino, popolarmente interpretato come l’immagine del diavolo (a cui anticamente si associava il porco, creatura degli inferi) sconfitto dall’eremita Antonio. Protettore degli animali, dunque, ma ciò non toglie che il suino venga ancora “sacrificato” sull’altare dell’alimentazione umana e che uno degli insaccati che se ne produce trovi la sua apoteosi proprio giovedì 17 gennaio, giorno in cui a Riese Pio X (TV) verrà decretato il miglior musetto dell’anno 2019, nel corso di una serata (inizio alle 20) che segna da giorni il tutto esaurito alla Caneva dei Biasio. Il Musetto d’Oro sarà assegnato da una giuria di buone forchette e di intenditori di cose suine, convocati dalla Ingorda Confraternita del Musetto che ha promosso la gara a grande richiesta, dopo il lusinghiero successo della prima edizione.

A Riese Pio X si decreta il miglior musetto dell'anno
A Riese Pio X si decreta il musetto dell’anno

Sfida all’ultima fetta con la Ingorda Confraternita

I giurati dovranno assaggiare i musetti preparati artigianalmente da norcini e macellai, e poi assegnare la palma del vincitore all’insaccato che meglio corrisponderà all’unico criterio ritenuto probante, dalla Ingorda Confraternita per la qualità del musetto: “Bisogna che el pete!”. Ovvero, l’impasto (preparato con la carne del muso ed altri parti minori del suino) dovrà avere la giusta dose di grasso , nonché di spezie. A fare da contorno, ci sarà la musica folk/pop/cabaret dei Do Storieski. Come detto, la sala è già sold out, ma chi vuole tentare di trovare un posto libero dell’ultima ora può chiamare lo 0423 483160 o 3463090181. Nell’occasione ci si può iscrivere alla Confraternita, con una quota associativa di 5,00 euro.

Porcellino di Sant’Antonio e pubblica carità

Tornando a Sant’Antonio Abate, la tradizione collega la bestia e il taumaturgo in riferimento all’allevamento dei suini, inizialmente adottato dai monaci antoniani per dare sostentamento all’ordine ospedaliero dagli stessi fondato. Anche all’uso di nutrire il porco grazie alla pubblica carità, si deve la consuetudine (molto diffusa, fino a qualche decennio fa, nelle contrade rurali del Veneto) del porcellino di Sant’Antonio: questo, infatti, veniva allevato, per essere destinato alla mensa del parroco, con le offerte dei fedeli. La povera bestia girava di casa in casa , anticipato dal suono del campanello che gli avevano messo al collo.

Ossada, ovvero quando non si butta via niente

Dato che il Santo abate  si festeggia nel calendario cristiano il 17 gennaio, appena passata la metà del mese, un tempo (non molto remoto) nella campagna veneta si cominciavano a consumare le carni del mas-cio da poco macellato. Di quello dell’anno precedente non c’era proprio più traccia visto che, in un’economia prevalentemente rurale, il maiale rappresentava – nell’entroterra veneto, oltre che nella cucina italiana in generale – la più cospicua fonte di cibo. Quel che c’era di commestibile dell’animale, veniva confezionato (così come oggi) in quantità e modi diversi, da essere gustato tutto l’anno. E siccome del maiale non si butta niente, a fare gola erano anche gli ossi grassi, lasciati con poca carne attaccata, di pronto consumo. Quelli più piccoli finivano nella minestra di fagioli per darle più sapore, oppure venivano conditi con le verze per diventare una gustosa pietanza accompagnata dalla sempiterna polenta. Tutti gli altri ossi si lessavano in acqua salata, aromatizzata in vario modo, e si mettevano a tavola fumanti, conditi con sale grosso e rafano grattugiato (tenuto sotto aceto). Tradizione dell’ossada che ancora oggi permane, tra i buongustai più “ruspanti”, in trattorie e ristoranti della Marca trevigiana proprio in questo periodo dell’anno.

CRISTIANA SPARVOLI