Che la truffa ci fosse ormai si sapeva benissimo ma mancava qualcosa. La cifra. E ora, al processo Mose, sta venendo fuori. La “Mantovani spa” durante i lavori per il Mose, ha costituito fondi neri per circa 20 milioni.

A raccontarlo il ragioniere Nicolò Buson, che teneva i conti di Piergiorgio Baita, presidente. «I fondi neri servivano a pagare i politici locali, come Giancarlo Galan e Renato Chisso, i referenti romani come il ministro Altero Matteoli, quelli del Magistrato alle acque».

I fondi neri gestiti in maniera diversa: pagando il doppio i sassi per costruire le dighe attraverso una società canadese, inventandosi servizi pagati a una società di William Colombelli a San Marino, oppure pagando più del doppio Mirco Voltazza e i suoi servizi per quanto riguarda la sicurezza. Quei soldi finivano in una banca svizzera in conti sotto copertura e tornavano in Italia in contanti.

Buson ha poi riferito una delle frasi che l’ex presidente della Mantovani ripeteva riferendosi a Galan: «Mi costa l’ira di Dio anche se non è più nessuno in Regione».

Il difensore di Matteoli. l’avvocato Francesco Campagna, ha chiesto a Buson se avesse sentito parlare o addirittura conosciuto l’onorevole Renzo Lusetti un tempo democristiano, poi passato alla Margherita, quindi al Pd e infine all’Udc. «In un’occasione», ha risposto il ragioniere che ora lavora alla “Nautilus”, «mi pregò di tenere in considerazione un giornale di Roma, che noi abbiamo sponsorizzato. In seguito gli spiegai che avevano chiesto tanti soldi e lui se ne meravigliò». La “Mantovani” a quelli de “Il Punto” di Roma, giornale online, versarono almeno due milioni di euro e lo stesso Baita ha spiegato, e ieri Buson lo ha confermato, che si trattava di una redazione molto vicina ai servizi segreti italiani e che i suoi giornalisti erano in grado di fornire informazioni utili.

Gian Nicola Pittalis

Galan