Il governatore del Veneto spiega a che punto è la trattativa sull’autonomia con Roma

Un colloquio romano lontano da orecchie indiscrete, quello tra il governatore Luca Zaia e il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Enrico Costa. Nei giorni scorsi hanno discusso tempi, modalità e contenuti del referendum sull’autonomia del Veneto previsto a ottobre; un punto della situazione, parallelo all’agenda settimanale di incontri tecnico-legislativi tra la delegazione di Palazzo Balbi, guidata dal costituzionalista Luca Antonini, e il sottosegretario Gianclaudio Bressa, delegato dal Governo alla trattativa.

Governatore Zaia, qual è l’andamento del negoziato? A dispetto dei continui scontri politici sull’asse Venezia-Roma, è prevedibile un punto d’intesa?

«È bene chiarire che la convocazione del referendum sull’autonomia veneta non è in discussione, il Governo aveva cercato di impedirla ma la Corte Costituzionale, accogliendo le nostre ragioni, l’ha autorizzata e quindi si svolgerà a prescindere dall’esito del negoziato in corso. Detto ciò, il confronto al ministero si svolge su due versanti distinti: la formulazione del quesito, che noi vogliamo arricchire di contenuti, e le maggiori competenze previste dall’articolo 116 della Costituzione. La trattativa procede, ad oggi posso dire che il clima appare costruttivo e mi sembra di scorgere una volontà di dialogo».

A che punto è la definizione del quesito?

«Lo schema di partenza è rappresentato dall’interrogativo legittimato dalla Corte Costituzionale, “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Noi, tuttavia, vogliamo integrarlo con la definizione degli ambiti dove rivendichiamo maggiore potere decisionale, ovvero la sanità, l’istruzione, l’università e la ricerca scientifica, i tributi regionali e locali, la riduzione della burocrazia statale, la regionalizzazione di strutture statali e dei fondi di sostegno e garanzia, fino alle fonti di finanziamento. Il negoziato sul quesito investe questi punti, il nostro obiettivo è formulare un quesito più ampio e significativo possibile, che consenta ai cittadini di comprendere l’effettiva posta in gioco, che va oltre i giochetti politici e i dispetti a distanza tra Pd e Lega».

Cosa intende dire?

«Questo referendum segnerà una svolta storica, un big bang e niente sarà più come in passato. Per la prima volta i veneti avranno la possibilità di incidere sul loro rapporto con lo Stato, di esprimersi su scelte fondamentali, come il welfare sanitario, il turismo, l’istruzione, l’utilizzo delle risorse sul territorio. Riguarda tutti, mi auguro che diventi un grande momento di democrazia partecipata, al di là dei calcoli di partito e che nessuno sia così miope da opporsi».

Il sì referendario presuppone un atto di fiducia nei confronti della Regione. Ma c’è chi dubita che l’amministrazione veneta, messa alla prova, risulterà più efficiente dello Stato.

«Le cifre, non le chiacchiere, dicono che il Veneto, unica terra confinante con due regioni a statuto speciale, pur avendo i conti in ordine, riceve dallo Stato il peggior trattamento tra tutte: ogni anno versiamo a Roma 60 miliardi e ne riceviamo in cambio 40; i nostri 576 comuni hanno 27 mila dipendenti, il solo municipio di Roma ne conta 61 mila; la percentuale di spesa pubblica che lo Stato che ci eroga la meta di quella riservata a Campania e Calabria. E potrei continuare fino a domani. Noi vogliamo che i 20 miliardi “mancanti” non finiscano nel pozzo senza fondo di Roma capitale ma siano investiti in Veneto perché sono il frutto del lavoro e delle tasse del nostro popolo».

Lei è critico verso la riforma costituzionale renziana approvata dal Parlamento e oggetto del referendum d’autunno. Eppure i suoi artefici affermano che garantirà maggiore autonomia alle regioni.

«È vero il contrario. La riforma di Renzi è fortemente centralista e gli ambiti di competenza regionale sono ridotti da 19 a 6, altro che autonomie!».

A proposito di referendum renziano, fonti governative sembrano escluderne la possibilità di abbinamento con quello veneto, giudicando contrastanti e incompatibili i due quesiti.

«La nostra richiesta è e resta quella di un election-day che chiami i cittadini ad esprimersi su entrambi gli argomenti. Lo suggeriscono la logica e il buon senso, oltre che ragioni di risparmio. In ogni caso, noi convocheremo il referendum prima o in coincidenza con quello del Governo. Se il premier Renzi vorrà ostacolarlo, ne risponderà a cinque milioni di veneti. Mi auguro, e confido, che questo non accada».

Certo è che la via riformatrice, quella percorsa dalla consultazione autorizzata dalla Corte Costituzionale, suona come definitiva pietra tombale sul miraggio indipendentista.

«Non sono d’accordo. Noi abbiamo sostenuto con convinzione i due quesiti indipendentisti bocciati dalla Consulta e non abbandoniamo l’obiettivo. Faccio presente che neppure la Catalogna, dove l’indipendentismo è un sentimento di massa radicato da secoli, riesce a convocare un referendum per staccarsi da Madrid. Io credo che l’unica strada possibile sia quella scozzese, che prevede dapprima una “devolution”, con assunzione di nuovi poteri ceduti dallo Stato, e poi una consultazione legale e trasparente per saggiare la volontà indipendentista della nostra gente».

Gian Nicola Pittalis

Luca_Zaia