“Macché premier, la mia missione è guidare il Veneto”. Acceso dal sacro fuoco autonomista, Luca Zaia sembra aver già liquidato l’investitura di Silvio Berlusconi. Ma è solo una scelta di militanza partigiana, quella del governatore, o c’è di mezzo lo zampino del segretario del suo partito? Come notavamo ieri nel Controcanto, alla mossa del Cavaliere non poteva non seguire la contromossa di Matteo Salvini. E la risposta è stata rapida e netta: “sbaglia chi pensa di agitare le acque in casa della Lega“. Tradotto: se l’obiettivo di Berlusconi è quello di spaccare il Carroccio per poi assurgere a salvatore di tutto il centrodestra, ha sbagliato strada.

Anche il silenzio di Roberto Maroni, l’altro condottiero dell’indipendentismo regionale, è abbastanza eloquente: il governatore della Lombardia preferisce affidarsi alla replica secca del capo del partito. Insomma, il disegno federalista-indipendentista leghista al momento sembra conciliarsi solo con la proposta sovranista di Fratelli d’Italia e del nuovo Movimento nazionale guidato da Gianni Alemanno. Non c’è spazio – almeno per il momento – per altre alleanze e tantomeno per posizioni di subalternità nei confronti di Forza Italia, a cui i sondaggi attribuiscono le stesse percentuali (13% o poco più) della Lega.

Al di là delle schermaglie politiche, ancora all’inizio, vi è da considerare la portata effettiva del referendum autonomista che dovrebbe svolgersi in primavera o, al massimo, in autunno. Se il buon tempo si vede dal mattino, già la formulazione del quesito dovrebbe placare il trionfalismo dei proponenti. Il testo, infatti, risente dei limiti imposti dalla Corte Costituzionale, che ha vietato di indicare le materie e le competenze riservate all’eventuale “regione autonoma”. Un po’ come direbbe un genitore al figlio tredicenne che chiede il motorino: “a 14 anni se ne parla”.

L’altra osservazione riguarda la natura della consultazione. Si tratta infatti di un referendum consultivo, per definizione svincolato dalla decisione finale, che spetterà in ogni caso all’autorità statale. Perciò, benché l’istituto referendario sia uno dei più alti momenti di vita democratica, nel caso specifico servirà solo a dare una rappresentazione grafica degli orientamenti dei cittadini.

Per questo motivo, uno dei maggiori costituzionalisti italiani del secolo scorso, Costantino Mortati, giudicava negativamente il referendum consultivo. Secondo l’illustre giurista, “la mera espressione di un parere non vincolante avrebbe fatto assumere al popolo una posizione subordinata rispetto alla volontà degli organi statali; subordinazione giudicata incompatibile con la posizione di supremazia riconosciuta al popolo in un regime democratico”.