Inceneritori, Tmb, discariche autorizzate e abusive. In Italia il problema dello smaltimento dei rifiuti è ancora in gran parte nella fase di dibattito, con marcate differenze tra il Nord e il Sud del Paese. Tra ritardi, procedure di infrazione, allarmi sanitari e infiltrazioni criminali, la monnezza è diventata un business. Enorme e molto opaco[s2If !current_user_can(access_s2member_level1)] …READ MORE[/s2If][s2If current_user_can(access_s2member_level1)]

Una montagna di monnezza ci seppellirà. E’ il rischio che corre gran parte del Belpaese, con alcune virtuose eccezioni (vedi anche articolo di Alvise Salice), se non si troveranno soluzioni rapide e sostenibili al problema dello smaltimento dei rifiuti, una questione strettamente collegata all’abnorme aumento dei consumi della società moderna.

Nel corposo dossier “Rifiuti d’Italia: la grande truffa” – realizzato da Wired e Cittadini Reattivi incrociando dati e informazioni di Ispra, l’istituto superiore per la protezione ambientale, e di vari altri ricercatori – è presentato lo stato dell’arte della materia.

Ve lo proponiamo, rielaborato, in questo numero di Notizie Plus e in quello prossimo di febbraio, con l’intento di contribuire a diffondere la conoscenza delle problematiche ambientali, sanitarie ed economiche legate al ciclo dei rifiuti.

Un business opaco – Il giro d’affari che ruota intorno alla gestione dei rifiuti è stato stimato dagli autori dell’inchiesta in 13 miliardi di euro l’anno, l’equivalente di una manovra finanziaria. Un business nell’occhio (per non dire nelle mani) della criminalità organizzata, che si alimenta di una diffusa corruttela nelle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche, come confermano i dati del Rapporto Ecomafia 2016: 314 inchieste giudiziarie con 1.602 arresti, 7.437 denunce e 871 aziende coinvolte in tutte le regioni d’Italia.

Quello che è business per alcuni si rivela una truffa per i cittadini, anche per quelli virtuosi, considerato che Conai, il Consorzio nazionale Imballaggi che coordina il recupero dei materiali differenziati, ha restituito nel 2014 solo 390 milioni di euro a Comuni e consorzi di filiera a fronte di un valore di raccolta di 1,9 miliardi di euro. Una produzione che dovrebbe garantire sostanziosi risparmi in bolletta.

I costi per il cittadino – Nel 2014 ogni cittadino italiano ha speso mediamente 213,95 euro (Ispra, Rapporto Rifiuti Urbani 2015). Ma cosa incide realmente sui costi? Solo per i contratti di servizio per lo smaltimento, le grandi città spendono centinaia di milioni di euro: il comune di Napoli nel 2015 ne ha spesi 232,7; Milano 350; Parma 34,7; Palermo 118,5; Roma 796,8 (dati SoldiPubblici.it).

Ci sono poi una serie di altri fattori che variano da città a città e da regione a regione, come documenta Openpolis: la natura pubblica o privata del gestore del servizio; la tipologia di smaltimento, di tariffazione prescelta e via discorrendo. Elementi a discrezione delle amministrazioni locali, sui quali le Autority – Anac e Antitrust – hanno avviato indagini. A Roma, per esempio, nonostante la raccolta differenziata nel 2015 abbia raggiunto il 41,2%, i cittadini hanno continuato a pagare la tariffa per la gestione in discarica e per il trattamento meccanico biologico, spendendo 249,92 euro all’anno, il 14% in più della media nazionale. Sopportando, per di più, i disagi ambientali e sanitari.

Secondo l’indagine conoscitiva sui rifiuti solidi urbani realizzata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato avviata nel 2014 e pubblicata a febbraio 2016, i cittadini italiani potrebbero risparmiare notevolmente in bolletta con “meno discariche e più raccolta differenziata”. A patto però, ribadisce l’Antitrust, che l’industria sopporti l’intero costo della gestione della parte riferibile agli imballaggi della frazione differenziata dei rifiuti urbani.

Risparmiare è possibile – Dove c’è tracciabilità e trasparenza si risparmia. Se i costi di gestione aumentano in base alla quantità di rifiuti prodotta, al tipo di ciclo scelto e al numero degli abitanti, è interessante rilevare come la pratica più conveniente per le famiglie italiane sia non l’incenerimento ma l’aumento della raccolta differenziata e una minore produzione di rifiuti pro-capite. Come riporta il rapporto Rifiuti Urbani 2015, “l’aumento della raccolta differenziata nei comuni che hanno introdotto la tariffa puntuale si traduce in una diminuzione dei costi per i cittadini”. La media nazionale della spesa pro-capite calcolata da Ispra è di 213,95 euro. Il dato è ricavato da un campione di 1.892 comuni, di cui solo 102 a tariffazione puntuale. Analizzato per macro-area, il costo per ogni abitante è di 171,69 euro l’anno al Nord, 233,56 euro al Centro, 164,08 al Sud.

Pagare per quanto produciamo – Il censimento annuale sul sistema tariffario contenuto nel Rapporto Rifiuti Urbani 2015 rileva lo stato del passaggio dal tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, la cosiddetta Tari normalizzata, istituita dal primo gennaio 2014, alla tariffazione puntuale del “paghi quanto produci”, un modello che può essere applicato sia in base all’identificazione dell’utenza, nel caso di conferimento presso le isole ecologiche, sia identificando i contenitori associati ad una singola utenza, metodo generalmente utilizzato per la raccolta porta a porta, più “responsabilizzante” per il cittadino. Tuttavia, sulla tariffazione puntuale manca ancora il regolamento attuativo, nonostante siano passati vent’anni dal decreto legislativo 22 del 1997. Nelle more, 255 dei 525 Comuni Rifiuti free hanno adottato volontariamente questo modello di tariffazione.

I Comuni virtuosi – Secondo il rapporto Comuni Ricicloni 2016 di Legambiente, su 1.520 comuni che superano il 65% di raccolta differenziata, almeno 525 producono meno di 75 chilogrammi annui per abitante di rifiuto secco indifferenziato (il 7% del totale nazionale), per un bacino di circa 3 milioni di abitanti. Treviso (ne parliamo qui) produce 350 kg. pro-capite annui di rifiuti; ne ricicla oltre l’85% grazie al Consorzio Contarina e ne invia a discarica solo 50. In Friuli Venezia Giulia con la differenziata oltre l’80% si arriva anche a spendere 94,33 euro/abitante per anno, il 44% in meno della media definita da Ispra.

Monnezza fa rima con ricchezza. L’economia circolare – Esperienze che confermano che si può risparmiare e vivere in modo sostenibile e che anticipano il pacchetto sull’economia circolare varato dall’Unione europea, dove si stabilisce che i rifiuti sono in realtà una risorsa preziosa, anche in previsione della scarsità di materie prime. Le misure di Bruxelles prevedono finanziamenti per oltre 650 milioni di euro provenienti dal programma Horizon 2020 e per 5,5 miliardi di euro dai fondi strutturali. L’obiettivo vero è ridurre drasticamente il conferimento in discarica, aumentando il riciclo delle materie prime e incentivando l’utilizzo di prodotti ecologici e a basso impatto. Azioni che porteranno almeno 180mila posti di lavoro diretti nell’Unione europea entro il 2030, in aggiunta agli oltre 400mila che, secondo le stime, sarebbero già disponibili se si attuasse la legislazione sui rifiuti in vigore. Con un risparmio di materie prime, tra il 10% e il 40%, che significa una riduzione del 40% dei gas serra.

L’impatto ambientale e sanitario – I rischi derivanti da un non corretto smaltimento dei rifiuti rappresentano un serio pericolo per il futuro dell’ecosistema e della salute umana. I danni causati dal malfunzionamento di discariche e inceneritori sono incalcolabili, se solo se ne potesse quantificare l’impatto sul piano ambientale e sanitario.

L’unico dato disponibile al riguardo è rintracciabile sul sito della Direzione generale Ambiente della Commissione europea che, su pressioni giornalistiche, ha pubblicato un elenco dove risultano essere 155 le discariche di rifiuti urbani e speciali fuori legge in cui sono stati smaltiti rifiuti indifferenziati tal quali, causando emissioni di liquami, gas nocivi e percolato.

Solo 30 sono a norma in tutta Italia, secondo i dati di Ispra. E stando alle stime del ministero dell’Ambiente, occorrerebbero almeno 290 milioni di euro per la bonifica e la messa in sicurezza delle altre. Tutto ciò ci costa oltre 110 milioni di euro, solo per gli anni 2015-2016, per sanzioni comminate dall’Ue. Soldi che lo stato italiano anticipa, ma che dovrebbero essere a carico di coloro che hanno inquinato e che hanno contribuito con la propria negligenza allo status quo: le lobby dei proprietari delle discariche e gli enti di controllo e della pubblica amministrazione che non hanno accertato, per tempo, il danno ambientale.

(continua sul prossimo numero di febbraio)

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