All’Ospedale dell’Angelo i neurochirurghi hanno operato al cervello, da sveglio, un immigrato bilingue nepalese. Hanno dialogato con lui durante l’intervento sia in italiano che nella lingua madre per assicurarsi che non venissero lese le funzioni del linguaggio. A tutto l’intervento, durato 6 ore, ha partecipato un’interprete d’eccezione: si tratta di una giovane immigrata residente a Oriago di Mira, fresca di abilitazione come operatrice socio sanitaria, che è entrata volontariamente in sala operatoria per la prima volta nella sua vita.

Gli specialisti dell’Ospedale di Mestre si sono trovati a dover rimuovere, nel cervello del paziente, una lesione dovuta a una malformazione vascolare; si doveva intervenire quindi in un’area critica del cervello, dove appunto hanno sede anche le funzioni relative al linguaggio. Dopo aver mappato l’area, il percorso per risolvere la lesione è stato guidato proprio dal paziente in base alle sue risposte ai test dinamici, come, ad esempio, comunicare correttamente il nome dell’oggetto in foto, eseguiti sia in italiano che in nepalese.
“Da molti anni la nostra équipe di Neurochirurgia – spiega il Direttore Generale dell’Ulss 3 Serenissima, Giuseppe Dal Ben – interviene sulle lesioni al cervello in aree critiche. Si esegue l’intervento a paziente sveglio, per preservare le funzioni di quelle aree: mentre i neurochirurghi agiscono, il soggetto risponde a dei test predefiniti e in questo modo permette ai chirurghi di operare la lesione con il minor danno possibile”.

“In questo caso specifico – racconta il Primario di Neurochirurgia, Franco Guida – intervenendo su una persona normalmente in grado di parlare due lingue, abbiamo eseguito i test e le domande al paziente sia nella lingua acquisita, l’italiano, sia nella lingua madre, il nepalese: nel cervello del paziente le funzioni relative a queste due capacità di comunicare risiedono infatti in aree differenti, anche se tra loro correlate, ed è nostro obbligo monitorare entrambe queste aree e le relative funzioni”.
In sala operatoria si è affiancata così la figura dell’interprete: alla competenza degli specialisti, si è aggiunto il contributo della comunità di origine del paziente. “Preparando l’intervento – racconta il Primario – l’équipe della Neurochirurgia ha preso contatti con la comunità nepalese di Venezia, che si è subito resa disponibile, mandandoci una giovane bravissima interprete”. Il cui contributo è stato fondamentale: “Questa ragazza durante l’intervento – ha ammesso il Primario – è risultata importante quanto il neurochirurgo, il neurologo, il neurofisiatra, il neuroradiologo, il neuroanestesista. Ed era sicuramente coinvolta tanto quanto noi”.
“Ho avuto per tutto il tempo la pelle d’oca – ricorda a distanza di qualche giorno lei, Sulochana (Dolma) Lama – e non lo scorderò quelle ore per il resto della mia vita. L’équipe si fermava quando il paziente non rispondeva o formulava male le risposte. E invece procedeva se le risposte erano corrette, sia in italiano che in nepalese. All’inizio avevo paura. Mi hanno chiesto se preferivo uscire, ma mi sono fatta coraggio: nonostante la complessità dell’intervento, il clima in sala operatoria era così sereno che, mano a mano che si procedeva, sono rimasta affascinata dalla straordinarietà di quanto stava accadendo. E la paura è sparita”.
L’intervento non è solo perfettamente riuscito quanto alla rimozione della lesione, ma ha permesso al paziente di conservare sia la lingua madre, il nepalese, che la lingua acquisita, l’italiano. “Il medico chirurgo ha la necessità di condividere una certa interdisciplinarità. E il neurochirurgo, più che medico in sé per sé, è una sorta di artigiano del cervello: per poter permettere un intervento come questo bisogna uscire da schemi rigidi – aggiunge – guardando alla totalità della persona e utilizzando tutte le risorse che riusciamo a trovare, com’è successo in questo caso. Pertanto la medicina non si deve fermare solo ai parametri clinici e medici”.
Assieme alla comunità nepalese, il paziente, già dimesso, ha espresso tutta la sua gratitudine all’équipe di Neurochirurgia e a quella di Neurologia, diretta dal Primario Rocco Quatrale, che ha collaborato in sala operatoria. Qualche giorno dopo l’intervento, per tramite proprio dell’interprete d’eccezione, Sulochana, l’Associazione nepalese veneziana ha consegnato al Primario Guida una sciarpa di seta con preghiere tibetane e una targa di ringraziamento “per l’operato svolto nei confronti del nostro connazionale – è scritto al suo interno – appartenente alla comunità nepalese di Venezia”.
“Vogliamo porgere i più sentiti e devoti ringraziamenti per l’assistenza fornita al nostro connazionale durante il suo percorso di cura – ha scritto nero su bianco, in una lettera di ringraziamento rivolta all’Ospedale, Chapagain Rajan, presidente dell’Associazione e rappresentante degli 80 nepalesi della provincia veneziana –. La presa in carico del severo caso clinico, l’abnegazione con cui è stato portato avanti dal Primario, ha dimostrato una capacità lavorativa dell’equipe eccellente, nonché una grande umanità, in grado di affrontare barriere linguistiche e un intervento a rischio di conseguenze. Ancora una volta la Sanità veneta ha dimostrato di essere un’eccellenza italiana”.