“Ci preoccupa l’impennata del ricorso alla Cassa integrazione, segnale allarmante di una situazione economica che peggiora e che fa presupporre il rischio di un ulteriore inasprimento nelle prossime settimane. Si rischia un 2021 con fatturati peggiori del 2020 e di conseguenza ricavi più bassi che imporranno il contenimento dei costi, ma non dovranno essere i lavoratori a pagare il conto di questa crisi”.
È il commento di Massimiliano Paglini, segretario generale della Cisl Belluno Treviso, al boom di richieste di Cig registrata tra Natale e Capodanno in provincia di Treviso.
“I segnali che arrivano dalle imprese del territorio – afferma Paglini – indicano che vi è grande incertezza anche rispetto all’approvvigionamento di materie prime per portafogli ordini che languono. Il quadro è complesso ed eterogeneo, con i grandi gruppi industriali con ‘motori al minimo’ e le piccole e medie imprese e le aziende individuali, soprattutto del commercio, del turismo e della ristorazione con serie prospettive di chiusura a causa della prolungata inattività di questi mesi. Va scongiurato lo choc occupazionale che potrebbe verificarsi allo scadere del divieto di licenziamento, al momento fissato al 31 marzo”.
“L’allarme lanciato da Mario Draghi sul rischio di default di tante imprese e sulla necessità di presidiare le PMI, già avvalorato da molte ricerche – prosegue il segretario generale Cisl – ci preoccupa per i riflessi che il problema avrà sull’occupazione e sulla tenuta sociale. Deve servire da monito a chi è ancora disattento all’emergenza vera che già ora, ma ancora di più nei mesi futuri, è e sarà quella occupazionale. Non dimentichiamo che le PMI sono la spina dorsale dell’economia trevigiana e che in esse è allocata la maggior parte dell’occupazione e della produzione di PIL”.
“Il quadroconclude Paglinirimane denso di grande incertezza anche alla luce dello scarso numero di garanzie di credito rese disponibili dal Decreto Rilancio, metà delle quali ha tra l’altro riguardato la rinegoziazione di crediti preesistenti. Il che significa che o, nonostante la disponibilità, non c’è domanda di credito, o che le banche hanno valutato negativamente il merito creditizio delle imprese richiedenti o, peggio ancora, che gli imprenditori, per quanto in crisi di liquidità, sono così scoraggiati dalla situazione, da decidere di non aumentare il rischio d’impresa. In ogni caso alla base della questione rimane un unico problema di fondo: la mancanza di fiducia”.