Non più di un mese fa, a seguito dell’ennesimo caso di degrado nel centro storico di Treviso, il direttore provinciale di Casartigiani, Salvatore D’Aliberti aveva scritto una lettera aperta al sindaco di Treviso, Mario Conte, invitandolo a intervenire e suggerendo la possibilità di condividere azioni educative integrate con il mondo della scuola. Da allora gli episodi legati alle cosiddette “baby gang” sono più volte tornati all’attenzione delle cronache: è accaduto a Oderzo, a Vittorio Veneto, a Conegliano e, a più riprese, anche nel capoluogo, che diventa teatro, soprattutto nei fine settimana, di risse tra bande.
«Si tratta di un fenomeno sempre più grave che chi, come noi, rappresenta diverse categorie economiche non può assolutamente sottovalutare», sono le parole del direttore di Casartigiani Treviso, Salvatore D’Aliberti, «per questo a inizio febbraio ho ritenuto di sensibilizzare il nostro sindaco, sia per il suo ruolo amministrativo e istituzionale sia per la carica di presidente regionale dell’Anci, e torno a farlo a distanza di poche settimane rivolgendomi anche al nuovo prefetto Angelo Sidoti, perché è evidente che si tratta di un problema ormai diffuso in tutta la provincia».
«Le baby gang che imperversano a Treviso, così come in molte altre città della nostra Regione» è un breve estratto della lettera inviata a Mario Conte «oltre a recare un danno di immagine provocano anche un danno economico alle attività economiche presenti in città, e ancor più scoraggiano molti cittadini a frequentare i centri urbani». La risposta di Conte: «Confermo che sarà mia cura portare questo tema caldo nelle sedi opportune in modo che venga trattato con competenza».
Una parziale iniziativa, nel frattempo, è arrivata. Un vertice si è svolto a inizio settimana, lunedì 28 febbraio: la risposta delle istituzioni è stata sostanzialmente una stretta sui controlli nei luoghi considerati sensibili. Casartigiani, nella sua lettera inoltrata martedì 1 marzo al prefetto, rinnova però l’invito a coinvolgere anche il mondo delle scuole: «È necessario» spiega D’Aliberti «ricondurre questi comportamenti non solo alla dimensione repressiva delle violazioni amministrative e talvolta penali, ma anche all’ambito scolastico, facendole pesare sul percorso di studi. Un ragazzo che oggi partecipa a manifestazioni dolose, comprovate le sue responsabilità, oltre che essere segnalato agli organi di polizia (oggi ci si limita a questo), dovrebbe essere segnalato alla propria scuola di appartenenza al fine di incidere nella valutazione complessiva con una possibile bocciatura nell’anno scolastico, riportando così anche l’importanza nella scuola, il valore fondamentale dell’insegnamento dell’educazione civile e sociale degli studenti».