Non è solo una questione di salute pubblica. L’epidemia di covid-19 sta avendo ripercussioni notevoli anche sul sistema economico locale e nazionale, colpendo in maniera significativa le aziende che lavorano soprattutto con l’estero. La paura del contagio e l’insicurezza dettata dalla mancanza di una cura univoca determinano ripensamenti, barriere, difficoltà improvvise. Non certo la situazione ideale per un’economia che stenta a crescere (+0,3% nell’ultimo trimestre) e che necessita di rilancio e di occasioni di ripartenza per poter sopravvivere prima ancora che per ritrovare un ruolo da protagonista nel panorama europeo e mondiale.

A lamentare i danni maggiori finora sono due distinti comparti, l’agricoltura ed il turismo. Due facce della stessa medaglia in realtà: se pensiamo che il sistema Italia si regge in buona misura sull’indotto generato dall’afflusso di visitatori che oltre ad apprezzare le bellezze artistiche e naturali acquistano le tipicità enogastronomiche locali, è facile stilare un conto dei danni. Che sono enormi: si pensi al fuggi fuggi dei turisti da Venezia, frotte di visitatori attirati dalla tradizione del Carnevale e scappati dopo le prime notizie di un possibile dilagare del contagio oppure delusi dalla cancellazione degli eventi per ragioni di ordine pubblico. Oppure al crollo dell’export dei prodotti tipici, dalla pretesa degli acquirenti esteri di una certificazione di conformità sanitaria per vini e liquori sino alla decisione della Grecia di non importare più Grana Padano – per inciso, il mercato ellenico vale una bella fetta di business per il formaggio da tavola italiano.

Non va molto meglio ai fornitori di servizi ed alle altre realtà imprenditoriali. Come bene ha sottolineato Stefano Sardara, imprenditore del ramo assicurativo e presidente di una società sportiva professionistica, il sistema è fortemente penalizzato: le aziende sono ferme e non producono, le fatture emesse sono insolute ma sulle stesse è necessario versare l’Iva. Un paradosso all’interno della crisi stessa. E non è detto che le moratorie decise nelle ultime ore dal Governo riescano a porre un freno alla crisi, la più devastante dal 2011 ad oggi che il Paese abbia dovuto fronteggiare.

Come se ne uscirà? Sicuramente con grandi difficoltà e sacrifici. L’emergenza è totale ed il blocco di tante attività non sta certamente aiutando. In un clima di costante incertezza, è sufficiente uno starnuto o un colpo di tosse di un operaio o di un impiegato per fermare un’azienda. La politica dei blocchi non aiuta: le scuole chiuse stanno rallentando l’attività di cooperative di sostegno, di fornitura alimentare e di altri servizi; il divieto di manifestazioni impoverisce non solo il tessuto culturale ma anche il vasto ambito economico che accompagna le attività; lo stesso sport è danneggiato visto che il sistema si regge su un equilibrio tra costi e ricavi. L’Esecutivo ha iniziato a pianificare gli sgravi oltre ai rinvii delle scadenze ma oltre all’ambito meramente fiscale occorrerebbero fondi a tutela dei settori più deboli e che rischiano di pagare un conto salatissimo ad una crisi spaventosa che potrebbe rivoluzionare il volto della nostra società e della nostra economia.