“Ha vinto il partito del lavoro contro il partito del no”. Questo il primo commento a caldo, nella notte, di Luigi Brugnaro, appena eletto nuovo sindaco di Venezia, dopo un anno di commissariamento prefettizio a causa dello scandalo Mose. Dopo 22 anni di presidio del centrosinistra, i veneziani hanno scelto l’onda fucsia, hanno votato per il cambiamento: il patron di Umana e della Reyer ha ottenuto il 53,21% delle preferenze contro il 46,79% dell’avversario al ballottaggio, il senatore del Pd ed ex magistrato Felice Casson. Una batosta per il centrosinistra che avrà ripercussioni anche a livello nazionale.
La città, di fatto, passa di mano al centrodestra: a sostenere Brugnaro, infatti, ci sono Forza Italia, Area Popolare e la Lega Nord con cui il neosindaco dovrà fare i conti. Ma l’imprenditore ha sempre ripetuto di non ragionare secondo queste logiche: le poltrone andranno secondo un metodo rigorosamente meritocratico, anche se Gian Angelo Bellati, Francesca Zaccariotto e Renato Boraso paiono già avere un posto in giunta.
Nella notte la festa è scattata a Mestre, nel quartier generale in Calle del Sale. “La città – dice a caldo Brugnaro – ha dimostrato che finalmente vuole cambiare strada. Festeggeremo per un giorno, poi ci metteremo subito al lavoro”. Lavoro, appunto, e sicurezza le priorità e i baluardi della campagna elettorale, a partire dalla rinascita di Mestre e Marghera.
Silenzio, delusione e tristezza nel quartiere generale di Casson. I commenti, però, arrivano da Roma. “Una sconfitta aver perso Venezia – dice Matteo Renzi – abbiamo perso voti al centro, senza guadagnare a sinistra e tra i Cinque stelle. Un disastro”. “Adesso dobbiamo pensare a un progetto nuovo per la città” il laconico commento di Nicola Pellicani, capolista di Casson.
A regnare, però, sia al primo turno sia al ballottaggio è stato l’astensionismo. Di fatto il nuovo sindaco di Venezia è stato eletto dalla maggioranza della minoranza. Ieri alle urne, complice forse anche il diluvio universale che ha colpito la città a più riprese, è andato solo il 49% degli aventi diritto (quasi 104mila persone), neanche la metà della popolazione votante. All’appello mancano, dunque, almeno 23mila elettori che al primo turno erano andati alle urne. Segno che la disaffezione alla politica ancora non è stata superata.
Chiara Semenzato