Come antidoto alle fake news Legambiente Veneto, con Mal’aria Veneto 2020, mette al centro la scienza e la corretta informazione e analizza e fa chiarezza sulle principali fonti emissive dell’inquinamento atmosferico, proponendo in conclusione soluzioni concrete per fermare la cronica emergenza smog, che ha reso più vulnerabili i nostri apparati cardio-respiratori rendendoci più deboli contro la pandemia che stiamo vivendo.
Allo stato attuale delle conoscenze l’eventuale effetto dello smog sul coronavirus è un’ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese e approfondite. Ma l’aria che respiriamo è malata e l’esposizione a inquinamento atmosferico sembra favorire lo sviluppo della malattia Covid-19. Una ragione, secondo Legambiente, più che sufficiente a far suonare la sveglia delle Istituzioni, ancora assopite e in ritardo nella lotta allo smog.
Il dossier di Legambiente analizza quest’anno la qualità dell’aria in Veneto tanto a livello regionale quanto locale, grazie alla fotografia dello smog degli “agglomerati urbani”.
Legambiente ha condotto un’analisi sulle fonti emissive del PM10 considerando sia sia quelle dirette sia quelle secondarie. Il PM10 che emettiamo in atmosfera è composto, secondo un modello diffuso da ARPA, dal 38% da emissioni dirette di particolato (PM10 primario) e per il 53% si compone di quello denominato secondario. Il PM10 secondario si forma da da reazioni chimico-fisiche tra varie sostanze inquinanti chiamate precursori. I più importanti sono NOx, COV, NH3, SO2, che risultano principalmente dovuti a trasporti e agricoltura.
Un’analisi più dettagliata disegna il quadro delle emissioni regionali attribuendo i pesi ai diversi settori.
Il traffico si conferma elemento centrale nella produzione dell’inquinamento, dato confermato anche dalla significativa riduzione delle concentrazioni di inquinanti in atmosfera durante il periodo di lockdown che ha visto una riduzione del 20% a Febbraio e quasi del 60% a Marzo rispetto al mese di Gennaio.
“Per troppo tempo i vertici politici della Regione e molti Amministratori Locali hanno basato le loro dichiarazioni su dati parziali, ‘confondendo’ le emissioni primarie di PM10 con le emissioni totali in atmosfera – dichiara Luigi Lazzaro, presidente regionale di Legambiente -. Frettolose considerazioni che in alcuni casi hanno creato confusione nei cittadini e sottovalutazioni del fenomeno. Con questo dossier Legambiente vuole ristabilire una discussione corretta e scientificamente provata sull’origine del particolato sottile e sui danni causati dall’inquinamento atmosferico per evitare che eventuali bufale, pressapochismo e antiscientismo prendano il sopravvento nelle scelte che i decisori politici devono con urgenza fare per tutelare la salute dei cittadini”.
Nel dettaglio degli agglomerati, a Padova e Verona il traffico si attesta rispettivamente al 44% e 42% del totale del PM10, ben al di sopra del riscaldamento, che come fonte arriva al massimo a un quarto del totale (rispettivamente il 25% e il 18%) e che nel capoluogo scaligero viene anche superato dall’agricoltura con il 22%.
Per quanto riguarda invece Vicenza e Treviso, gli agglomerati risultano più vicini alla media regionale, con rispettivamente il 33% e 34% di Pm10 prodotto dal traffico e con il 27% e 39% originato dal riscaldamento; e valori analoghi si riscontrano anche misurando solo i valori dell’area metropolitana di Venezia, con il traffico che produce il 34% di PM10 e il riscaldamento al 37%; mentre i dati complessivi del Comune capoluogo di regione mostrano che macro-settori che in assoluto su scala regionale producono il PM10 sono l’energia (35%) e l’utilizzo di macchinari, in particolare dell’attività marittima (31%).
Insieme alla città di Belluno, che a causa della posizione geografica, vede un uso preponderante delle biomasse, che arriva a produrre il 62% del totale di PM10, chiude l’analisi del dossier il Comune di Rovigo – ad oggi ancora non considerato un agglomerato – capoluogo dove il traffico incide sul 40% sul totale del PM10, seguito dal riscaldamento (24%) e dall’agricoltura che si assesta su valori significativi per una singola città (13%).
L’analisi delle fonti emissive di PM10 vuole essere un ulteriore spunto per uscire dalla cronica emergenza smog. Emergenza che i piani ad oggi in vigore non hanno saputo fronteggiare.
La situazione non migliora tant’è che sebbene vi sia stato il lockdown il primo trimestre del 2020 si è dimostrato il peggiore degli ultimi 5 anni. Non si tratta di valori eccezionali ma di una triste conferma di una situazione stagnante: negli ultimi 10 anni ben 6 capoluoghi su 7 hanno sistematicamente superato i limiti di legge di 35 giorni con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi per metro cubo, superando di quasi il doppio la media annuale di 20 μg/mq suggerita dall’OMS per tutelare la salute umana. Con gravi danni per la salute dei cittadini: l’Italia è infatti il uno dei Paese in Europa con il più alto numero di morti premature (oltre 60.000 secondo EEA), molte delle quali avvengono in pianura padana.
Stante la situazione, il dossier Mal’Aria Veneto indica come del tutto inadeguate le misure attualmente in vigore: da una parte manca una generale strategia di coordinamento regionale dall’altra le amministrazioni locali hanno applicato le ordinanze in maniera troppo disomogenea. Da una ricerca dell’associazione è emerso come diverse misure fatichino ad essere fatte rispettare. La tabella sottostante rappresenta la fotografia dei controlli eseguiti nel 2019.
Per l’associazione ambientalista sarà fondamentale definire un nuovo Piano regionale di risanamento dell’atmosfera, riducendo da un lato il traffico motorizzato privato – con investimenti sulla mobilità urbana sostenibile di persone e merci e con il rafforzamento e l’incentivazione del trasporto pubblico locale, tanto pendolare e su ferro quanto quello in sharing e intermodale – e dall’altro tagliando le emissioni inquinanti prodotte dall’agricoltura, dall’industria, dalle centrali a fonti fossili e dal riscaldamento degli edifici, grazie a una regolamentazione concreta dell’uso della legna, a un valido piano di riqualificazione energetica del nostro patrimonio edilizio e a un programma regionale di riduzione dell’intensità dell’allevamento nella pianura padana.
A conclusione del dossier Mal’aria 2020, Legambiente Veneto lancia 20 proposte concrete: tra le azioni più urgenti da attuare nell’ambito dell’accordo di bacino padano e che la Regione deve governare direttamente e non più delegare ai Sindaci vi sono: l’estensione dell’accordo di bacino padano a tutti i Comuni del Veneto entro ottobre 2021 con responsabilità di cabina di regia per l’adozione di ordinanze omogenee almeno per agglomerato; l’avvio di un censimento dei generatori di calore a biomassa presenti nelle abitazioni civili in modo da attuare un piano adeguato per monitorare e le manutenzioni delle apparecchiature e delle canne fumarie; il divieto di roghi e di falò all’aperto nel periodo 1 ottobre – 30 marzo sin dal livello di criticità zero, eliminando le possibilità di deroga nei periodi festivi; impedire con ordinanza regionale ad hoc la possibilità di derogare al divieto di spandimento di liquami in agricoltura nel periodo di ordinanze antismog.