corriere 1939 intera_Pro (1)Fu così che iniziò tutto. L’11 novembre 1938. Il Corriere della Sera annuncia con un titolo a nove colonne la promulgazione delle “Leggi per la difesa della razza, approvate dal Consiglio dei Ministri”. Siamo solo agli albori di quello che si tramuterà in una delle più grandi tragedie del genere umano. Si tratta  di un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati in Italia, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Ma furono un’eco di quanto, il 15 settembre 1935 era avvenuto nella Germania Nazista con le “Leggi di Norimberga”. I decreti furono rivolti prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti del 20 gennaio 1944, emessi durante il Regno del Sud. Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie. Il fascismo ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato; regolò infatti la «facoltà del Ministro per l’interno di dichiarare, su conforme parere della Commissione, la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile». Si trattò in sostanza del conferimento di un potere molto vasto alla Commissione per le discriminazioni: questa infatti poteva formulare un parere motivato, senza poterne rilasciare «copia a chicchessia e per nessuna ragione», sulla base del quale il Ministero dell’interno avrebbe a sua volta emanato un Decreto di dichiarazione della razza. A partire dagli anni ’30 tali provvedimenti furono già utilizzati, nel pieno del regime Nazionalsocialista, principalmente, ma non solo, contro i soggetti di religione ebraica, minoranze Rom e nomadi, soggetti disabili ed omosessuali. Quelle italiane furono solo la “tragica logica” dell’asse Roma – Berlino. A questo primo passo seguì la nascita di una rivista “ad hoc” dal titolo “La difesa della razza” che, nell’anno I, numero 1 del 5 agosto 1938 a pagina 2 esordiva così: «È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo arianonordico». Al lettore esperto una cosa balza subito agli occhi. La definizione di “razza ebraica”. C’è un profondo errore di base, volutamente imposto dal Regime e dal Min.Cul.Pop. (il Ministero della cultura popolare) che, di fatto, imponeva temi, articoli e titoli alla stampa vietandone quindi la libertà di espressione. Si tratta dell’uso della parola “razza ebraica”. Come diceva Albert Einstein «esiste solo una razza: quella umana»; esiste la religione ebraica, non certo la razza.

 

Gian Nicola Pittalis

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