Mister Paolo Vanoli, allenatore del Venezia FC, in sala stampa con la Coppa Nexus - foto Notizieplus
Mister Paolo Vanoli, allenatore del Venezia FC, in sala stampa con la Coppa Nexus - foto Notizieplus

“Un capolavoro”. Così Mister Paolo Vanoli, allenatore del Venezia FC, ha definito la promozione in serie A.
Il tecnico lagunare è intervenuto in conferenza stampa dopo la partita al Penzo contro la Cremonese.

Mister Vanoli, quello che prima aveva definito come “Sogno”, ora può chiamarlo per nome: serie A.
”Sì, ora si è realizzato”.
Riassumendo questa serata, questo traguardo in una sola parola, che cosa potrebbe dire?
“Capolavoro. Perché insieme a questi ragazzi, dopo un anno e mezzo da dove siamo partiti, siamo arrivati a un traguardo incredibile. Bravissimi loro, perché gran merito va a questi giocatori, che hanno saputo soffrire e lavorare tanto, ed è il giusto premio che gli è arrivato. L’ho detto sempre che il lavoro e il sacrificio, alla fine, prima o poi pagano. A volte un pizzico di fortuna ti aiuta, ma la fortuna la si va sempre a cercare. Ringrazio anche questa Società, perché è una Società a cui dovevo un favore, visto che mi ha regalato la mia prima esperienza nei professionisti, e ci tenevo tanto, poi il Direttore e Il Presidente. Quando si arriva a questi traguardi, io poi sono un po’ severo, ma penso che il merito sia anche di tutta la gente che lavora per questo”.
La gente che si è riversata in campo alla fine della partita ha urlato: “Vanoli non te ne andare”. Lei che cosa si sente di rispondere?
”Non fatemi queste domande adesso. E’ un anno e mezzo che lavoro per questa cosa, per una volta mi voglio dedicare in serenità a una cosa magnifica che rimarrà nella storia. Questi ragazzi hanno segnato la storia.  Ne faccio anch’io parte, per un pizzico”.
Solo un pizzico? In realtà tanto, perché lei ha portato questa squadra a salvarsi prima e a disputare i playoff poi, la scorsa stagione. E adesso alla serie A.
”All’interno di questo, che ripeto per me è un capolavoro, abbiamo avuto la fortuna che i giovani poi sono cresciuti, abbiamo avuto la fortuna di avere un bomber, e stasera un altro bomber ancora, bravo nei playoff. Ho detto solo che dobbiamo imparare a goderci questi momenti, viverli e capire come si è arrivati qui, tutto lì”.
Da quando ha capito che poteva veramente sognare questo traguardo?
”Pensavo di poter portare a casa la partita con lo Spezia, ne ero convinto. Dentro di me credevo che al Como potesse succedere qualche cosa, ed è successo, poi come ho detto ai ragazzi, lì è stato lo step che ci ha fatto credere, ci ha fatto abbassare la testa e lavorare di più, e fatto capire che a volte bisogna essere preparati in quello che succede, come è successo in questi playoff, che secondo me abbiamo affrontato in maniera stratosferica, perché abbiamo incontrato due squadre, Cremonese e Palermo, per le quali basta vedere il mercato che hanno fatto. Potevano essere le pretendenti alla serie A, invece con il grande lavoro ci siamo arrivati anche noi”.
Come avete fatto in pochi giorni a passare da un contraccolpo psicologico, dopo lo Spezia, ad essere una squadra che ha giocato la miglior partita della serie dei playoff a Palermo?
”Penso che questa sia stata la nostra forza. Abbiamo anche avuto un pizzico di fortuna proprio lì. Laddove ci siamo guadagnati il terzo posto, abbiamo avuto una settimana di tempo per riuscire a staccare e riprendere, perché forse, se avessimo affrontato subito i playoff sarebbe stato difficile. Semplicemente, quando siamo rientrati, la diversità che c’è stata contro la Reggiana, in casa, in cui sono andato su tutte le furie, perché quella era un’altra partita chiave, ed ero arrabbiato con i ragazzi anche durante la settimana. Infatti il pareggio di Ascoli è stato dovuto anche alla mia reazione, perché lì veramente ne ho dette di tutti i colori a questi ragazzi. Invece dopo lo Spezia devo dire che ai ragazzi ho detto semplicemente se mi sapevano spiegare il perché era successo tutto questo. E la conclusione penso di averla data io: forse loro sono arrivati lì non credendo quanto me che poteva succedere quello che succedeva Como e il primo tempo con noi. E devo dire che i ragazzi hanno capito questo. Secondo passaggio: quando abbiamo iniziato i playoff, ho presi i difensori, e gli ho dett: se volgiamo vincere questo campionato, passa tutto da voi. Voi dovete fare quattro prestazioni super, perché in Italia chi vince un mini torneo deve prendere meno goal possibili ed essere solido. E devo dire che i vari Svoboda, Altare, Sverko, Candela, Zampano, Bjarkason, hanno fatto un playoff strepitoso. Poi mettiamoci anche i centrocampisti, strepitosi anche loro”.
Lei sin dall’inizio credeva in questa squadra, pur avendo detto fin dall’inizio che non era tra le favorite alla promozione?
“Quando inizio un lavoro, io sogno sempre, indipendentemente. A volte sbaglio, perché magari sopravvaluto le qualità dei miei giocatori. Quando sono partito, non erano chiari gli obiettivi, per cui ho detto ai ragazzi: la cosa più semplice è provare a vincere partita per partita, poi avremmo dovuto vedere a metà campionato. Una volta giunti a metà campionato, ho detto di vedere dove siamo e di crearci un altro obiettivo. E’ stato uno step di obiettivi, che si potevano vedere, raggiungibili, e abbiamo costruito qualche cosa di importante, poi l’altro capolavoro è stato il mercato, in cui abbiamo dovuto cambiare assetto. Non avevamo più giocatori, come Johnsen, in grado di fare l’uno contro uno, in cui ho per forza dovuto cambiare e continuare su quelle che sono le mie idee di gioco”.
Questo a parer suo è stato il risultato più bello della sua carriera, anche meglio di quanto fatto in Russia?
”L’ultima è sempre la più bella. Io penso che in Russia è stata un’esperienza importantissima, perché il periodo era non facile, per chi non chi non conosce lo Spartak, stiamo parlando di una finale con 80mila persone, ed è davvero una grande pressione mediatica. Questo è stato il capolavoro di crescita, piano piano, che tanto nella prima parte siamo stati bravi noi a riconquistare i nostri tifosi, tanto sono stati bravi i nostri tifosi, poi a trascinarci. Questa è stata l’unione, secondo me, che ci ha portati qui. Poi, ci tengo tantissimo, e lo sottolineo, a ringraziare il mio staff, perché per un allenatore penso che sia la ciliegina sulla torta, ma dietro c’è un grandissimo lavoro. Io sono uno che lavora tanto, quindi so quanto ho fatto lavorare il mio staff”.
Dopo la cessione di Johnsen, come ha fatto a far sì che il “giocattolo” non si rompesse? E’ raro che un allenatore si sfoghi per qualche cosa che non lo soddisfi. 
“Voi mi conoscete come carattere: sono un diretto, quello che ho sempre detto in sala stampa è quello che ho sempre portato ai ragazzi, e quello che pensavo l’ho sempre detto al Direttore, e al Presidente. A quest’ultimo ho fatto una promessa, e cioè: nonostante la delusione, per quello che era successo, ho sempre detto che sono un grande professionista, e che se ci fosse stata una sola possibilità di portare questa squadra in serie A, l’avrei portata. Questo è stato quello che ho fatto, perché questa è la mia passione e il mio lavoro. Poi, sapete che quello è stato un periodo veramente difficile, e ancora oggi lo capisco, ma oggi fortunatamente, per tutti e soprattutto per i tifosi e questo club, è andata nel modo migliore”.
Lei è consapevole che con questo traguardo il Venezia, di fatto, si salva, economicamente parlando? Adesso la serie A può cambiare anche il suo futuro, Mister?
”La mia arrabbiatura, in quel momento, era per quello che era successo e per quello che avevo fatto. Ho preso una squadra che era ultima in classifica, ho fatto tre mercati insieme al Direttore, in cui siamo andati a +3 milioni, senza mai spendere un euro, e nel primo mercato è stato bravissimo il direttore, che conosceva i prestiti: abbiamo avuto per esempio Wisniewski. tutte cose che sono chiare, limpide. Quindi quel passaggio, per me, mi ha veramente ferito. Perché se ci fosse stata una spiegazione in faccia, chiara e limpida, ma non c’è mai stata. Ma soprattutto, e qui lo puntualizzo: mi ha ferito perché il mercato ormai era chiuso. Io non ho mai criticato il mio Presidente, perché oggi a questo Presidente bisogna dirgli grazie. Ci ha regalato una casa, Ca’ Venezia, è un Presidente che, pur sbagliando ci paga lo stipendio, fa lavorare tante persone, ed è un Presidente che ha voglia. Oggi questa soddisfazione, penso che aiuti a continuare. Io ho sempre detto ai ragazzi una cosa che ho imparato: alla fine questi trofei rimangono. Si sentono i trionfi, non è il lato economico, ma questi. Un giorno quando si chiederà nella storia del Venezia chi sono l’allenatore e i giocatori, ecco sono segnati su questi trionfi, sono questi. Ed è quello che penso che poggi bisogna dire grazie anche Marco Modolo, perché è il sesto o settimo campionato del Venezia che vince. Anche lui è la storia del Venezia, ho voluto tenerlo per questo. Da quando la squadra è andata giù, poi sono ritornati su, e oggi sono veramente tanto felice per lui”.
Oltre a portare la squadra in serie A, lei ha cambiato proprio il modo di vedere le partite e soprattutto la voglia di condividere le vicende sportive.
“Questa è una cosa che mi fa veramente venire la pelle d’oca, perché oggi nel vedere questo entusiasmo, rivedere il Penzo pieno, vedere che il calcio appunto è emozione, e l’ho detto ai ragazzi: dovete emozionarvi. C’è bisogno di andare in campo a emozionare. Poi certo, ci sono periodi in cui giochi meno bene, però ho sempre detto sin dall’inizio, che una cosa la posso promettere: se non il risultato, però che questa squadra darà sempre tutto. Poi a volte il capolavoro ti esce bene, a volte meno bene, devi soffrite. Anche quando uno che non considero tifoso, che nel corso della fine del primo tempo di una partita ha detto alla mia squadra: “Svegliati!”, me lo ricordo ancora. Questo qui è un frustrato. Mi ha fatto arrabbiare ancora più della vicenda Johnsen. Perché la mia squadra non se lo meritava, io su questo dovrò imparare a contare fino a cinquanta, ma la mia squadra la difenderò fino alla morte”.
Quanto c’è di Antonio Conte in lei? E quanto le ha dato Alberto Malesani?
”Devo dire che sono stato fortunato a giocare in un Parma stellare, e in quella grande squadra ho avuto pure la fortuna di poter dare anche qualche cosa di mio,  penso che lì ho imparato inizialmente a capire che cosa voglia dire vincere. Però devo dire che, quando facevo il giocatore, ero molto concentrato a fare quello che era il mio ruolo, non pensavo a fare l’allenatore. Invece poi, quando ho smesso, ho avuto la fortuna di iniziare a fare l’allenatore, e devo anzi dire che mi piace più allenare che giocare, e ho avuto la fortuna di stare con due persone: una è stata Arrigo Sacchi, che ho avuto nel settore giovanile delle nazionali, dove mi ha fatto capire la maniacalità delle situazioni. E capisci perché un allenatore da leggenda abbia cambiato il calcio, ho avuto questo privilegio. Il secondo è stato poter andare a lavorare con un altro grande allenatore, che mi ha dato la possibilità di vedere anche club importanti, come il Chelsea, l’Inter e soprattutto mi ha fatto vedere il contorno, cioè come si può gestire la società, come si può, piano piano, creare una mentalità vincente. indipendentemente dalle idee calcistiche, sono sempre stato un grande osservatore: sempre stato dietro e guardavo, guardavo tutto, perché come dico ai miei collaboratori, voglio che pensino come l’allenatore. Quando avevo iniziato con Conte, pensavo sempre come lui, perché volevo essere sempre preparato alle sue domande, che erano poche ma incisive. E dopo è normale che, quando inizia la tua carriera, è inutile nasconderlo, ti influiscono queste persone, io piano piano nel tempo inizi a mettere la tuia esperienza, le tue idee. Vedi anche Ancelotti, a cui faccio i complimenti per la vittoria della Champions League: un giorno disse che il suo più grande pentimento era stato di non aver preso Roberto Baggio, perché ai tempi era molto condizionato dal 4-4-2, mentre adesso anche la sua concezione è molto cambiata, penso che anche adesso lui vorrebbe 12 Baggio! Quindi penso che sia un processo. Poi, nella vita sono molto curioso: mi piace vedere il calcio in continua evoluzione, se ti fermi sei un po’ perduto”.
Quindi può dire che Venezia sia una città fondamentale per lei, perché è la città che l’ha lanciata sia come giocatore che come primo allenatore?
”E’ vero. Devo dire che a volte la vita regala anche di questi aneddoti. Se riguardo un po’ la mia storia: da calciatore ho vinto la finale di Coppa Italia facendo goal contro la Fiorentina e l’hanno dopo mi hanno ceduto alla Fiorentina, in cui l’anno dopo, nella stessa finale, ho fatto goal al Parma. Ho vinto due Coppe Italia così, quindi è un po’ destino. Poi sono riuscito a fare la finale, a Mosca, nello stesso stadio in cui ho vinto la finale di Coppa UEFA col Parma. E oggi mi è capitato questo altro grande sogno. Pertanto, a volte i destini si incrociano, ed è bello. Poi però quando si pensa troppo, si diventa vecchi (ride, ndr)”.