“Il passaggio in arancione? Ce lo aspettavamo – commenta il presidente di Confcommercio Treviso Federico Capraro –è un ulteriore sacrificio che ci viene chiesto in un momento in cui la tenuta sociale è messa a dura prova. Mentre nel primo lockdown il senso di responsabilità individuale è prevalso su tutto, ora, c’è molta più frustrazione e ne vediamo le conseguenze nei comportamenti irresponsabili di alcuni che mettono a rischio la salute di tutti e alzano il carico sulla sanità. Purtroppo,  la gravità del quadro epidemiologico non ci consente di abbassare la guardia e credo che la via di uscita possa tradursi in questo: sacrifici si, ma uguali per tutti, brevi e con date certe, controlli e sanzioni pesanti per gli irresponsabili, riaperture programmate senza altri stop & go. E poi vaccini : presto e subito, le nostre imprese sono la spina dorsale dell’economia, l’anima vitale dei paesi e delle città, non possono considerarci gli ultimi della lista. Sui ristori, attendiamo per  metà mese il nuovo decreto. Non basteranno, serviranno altri aiuti a fondo perduto, annullamento e non spostamento di scadenze ed imposte. Commisurati ai cali di fatturato e non in base ai codici Ateco.”

Dello stesso parere Dania Sartorato, presidente di Fipe -Confcommercio, che rappresenta il mondo della ristorazione che, insieme al turismo, è il più danneggiato dalla pandemia. “Non siamo interruttori da accendere e spegnere, l’incertezza e la confusione regnano sovrani, molti di noi hanno deciso di chiudere del tutto e di rinunciare anche al delivery e all’asporto. Sono possibilità che incidono pochissimo sui fatturati e non ci garantiscono di mantenere l’occupazione. Francia e Germania garantiscono indennizzi superiori, se ci impediscono di lavorare devono evitare il logorio delle norme provvisorie, investimenti inutili e garantirci adeguati ristori. Molti di noi non riapriranno, e quando le nostre saracinesche saranno abbassate, cambierà la geografia delle città e di interi quartieri.”