EditorialeProfughiDi ebola oggi non parla più nessuno. Pare che il virus – che solo sei mesi fa terrorrizzava tutti – sia sparito dalla faccia della terra. Verrebbe da chiedersi: come è stata risolta l’emergenza? Perché è di questo che si parla: emergenza. Parola magica con cui si etichetta ogni problema che balza agli onori delle cronache per qualche settimana.

Oggi in Veneto l’emergenza si chiama profughi. Arrivano a frotte a Lampedusa – quando non muoiono strada facendo – stazionano qui e lì in condizioni pietose, approdano nelle nostre regioni. E poi sono tanti. Tanti. Tanti.

Davvero? Nel 2014 l’Italia – e i suoi quasi 61 milioni di abitanti – hanno ricevuto 170mila arrivi (fonte Unhcr, agenzia dell’Onu per i rifugiati). Un ritmo sorprendente: 14.200 persone al mese, 460 al giorno. Detta così, fa spavento.

Si possono fare due conti, però: i profughi arrivati nel 2014 sono, di fatto, solo lo 0,28% della popolazione italiana. Ora il Veneto: ci sono quasi 5 milioni di abitanti. Secondo gli accordi con il Governo, la regione dovrebbe accogliere l’8% dei profughi sbarcati: in realtà ne ha ospitati 1.800, il 2,7% di quanti ne sarebbero dovuti arrivare. E’ lo 0,04% della popolazione veneta. Ce ne vogliono 2.736 di veneti per farne uno di loro… Questo può davvero spaventare?

I problemi, semmai, sono di altra natura: quello di carattere più generale è continuare a trattare l’immigrazione come un’emergenza e non come una questione strutturale da risolvere. E’ un’emergenza, da sempre, per l’Italia. L’Europa chiude gli occhi e si gira dall’altra parte. Poi ci sono gli enti locali, lasciati soli, a gestire questa emergenza, senza soldi, senza strutture. Affidandosi spesso alla carità.

Così, magari, poi, i posti per i profughi a Padova finiscono. O ne arrivano 25 a Treviso e restano prigionieri su un autobus per un giorno intero. O sono invitati “a disperdersi”. O, ancora, una trentina al Lido sono accolti dalle urla: “Assassini, vergognatevi”.

Serve un Veneto civile. E accogliente. Serve, però, anche un Veneto che alza la voce a Roma e sbatte i pugni sul tavolo, se serve. Serve un Veneto che propone e offre soluzioni. Non un Veneto che sguazza nell’emergenza. E in una paura, inconsistente.