Da Venezia la voce delle donne iraniane e kurde sulle rivolte scoppiate in Iran dopo la morte di Mahsa Jina Amini.
L’intervista esclusiva: “Donna Vita Libertà”, Giovanna Pastega dà voce alle donne iraniane – TG Plus
A più di un anno e mezzo dallo scoppio delle proteste per la morte della giovane studentessa Mahsa Jina Amini, arrestata e bastonata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo islamico, non si fermano in Iran le proteste contro il regime degli ayatollah, ma la repressione ordinata dal governo si fa sempre più dura. Migliaia e migliaia finora le persone arrestate, uccise e torturate per aver manifestato nelle strade dopo la morte della studentessa kurda, divenuta ormai un simbolo dei diritti delle donne e della libertà in tutto il Medioriente.
Cominciata in ambito studentesco e poi rapidamente diffusasi in tutto il paese, la protesta unisce la lotta per i diritti delle donne repressi dal regime islamico, il desiderio di libertà della popolazione iraniana e curda in particolare, da sempre perseguitata, e le conseguenze sociali di una pesante crisi economica del paese.
Ma se la gente continua a scendere in piazza e a protestare, la reazione del governo si fa sempre più dura: a pagarne le conseguenze soprattutto le studentesse delle principali università iraniane – motori della protesta – dove si sono registrati numerosi casi di avvelenamento, sparizioni ed arresti.
Ad ottobre scorso Armita Garawand, una ragazza di appena 16 anni, è morta dopo 28 giorni di coma a seguito delle violente percosse subite per mano della polizia morale nel corso di un controllo sull’obbligo d’indossare il velo. Per quattro settimane le autorità iraniane hanno negato e distorto le circostanze che hanno causato la morte della ragazzina, arrivando persino ad arrestare le persone che hanno preso parte al funerale.
A gennaio di quest’anno la notizia del rilascio, dopo 16 mesi di carcere, di Nilofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, le due giornaliste che avevano rivelato particolari sulla morte di Mahsa Jina Amini, aveva fatto ben sperare. Ma dopo neppure 24 ore dalla scarcerazione di nuovo le due giornaliste sono finite nel mirino delle autorità iraniane perché nelle foto scattate mentre abbracciavano amici e familiari (poi finite sul web) non indossavano il velo.
Se nel paese la repressione continua senza sosta, la comunità internazionale ha finalmente dato significativi segni ufficiali di sostegno alla protesta delle attiviste iraniane contro i soprusi del regime islamico. Il 131esimo premio Nobel per la pace è stato infatti assegnato a Narges Mohammadi, giornalista iraniana attualmente detenuta nel famigerato carcere di Evin, a Teheran. Anche il Premio Sakharov (2023) per la libertà di pensiero, istituito dal Parlamento Europeo, è stato conferito a Jina Mahsa Amini e al movimento “Donna, Vita, Libertà” in Iran. Alla premiazione non ha però potuto partecipare la famiglia di Jina Amini poiché il governo iraniano ha bloccato la partenza dei genitori e del fratello per la Francia.
Cosa sta dunque succedendo ancora oggi in Iran e nei territori confinanti? Cosa è accaduto davvero dopo la morte di Jina Amini e quali sono gli effetti della repressione del regime islamico sulla popolazione e sui manifestanti? Quali speranze, quale futuro per l’antico popolo persiano e per le donne che da tutte le parti del paese chiedono a gran voce i loro diritti.
A raccontarlo il documentario “Donna Vita Libertà”, ideato e diretto dalla giornalista e scrittrice Giovanna Pastega con le riprese e il montaggio di Andrea Basso e l’assistenza tecnica di Francesca Pezzo.
Da Venezia, da secoli luogo di incontro tra culture e popoli, questo documento filmico vuole portare all’attenzione internazionale la voce di tre donne iraniane e curde contro la violenza, il loro racconto delle proteste scoppiate in Iran, il loro timore per le ritorsioni verso la famiglia e gli amici, il loro desiderio di libertà, di parità e di una società più giusta.
Tre voci diverse, ma un unico grido di libertà per tutte le donne: ecco allora susseguirsi nel documentario la voce di “una figlia dell’Iran” rimasta anonima per timore di ritorsioni sulla sua famiglia; e poi di una giovane e appassionata studentessa kurda-iraniana, Snour Nishat, arrivata in Italia da soli sei mesi e già molto attiva in sostegno della protesta: ed infine di una donna kurda irachena, Gulala Salih, attivista per i diritti dei bambini e delle donne e presidente della Associazione Udik (Unione Donne Italo Kurde. )
Dai loro racconti, il profilo di un paese in fermento e di una società che vuole cambiare veste e soprattutto il ricordo di Jina Amini e la speranza che la sua morte e le tante altre, di cui il regime iraniano si è macchiato, possano servire come monito per continuare quella che in molti hanno già definito una rivoluzione in nome della donna, della vita e della libertà.