Il Patriarca Francesco Moraglia (foto di repertorio)
Il Patriarca Francesco Moraglia (foto di repertorio)

L’omelia del Patricarca Francesco Moraglia, ha toccato, come già in altri apputamenti della Settimana Santa, il principale tema d’attualità, ovvero l’impatto che sta avendo su ogni persona e sulla società l’emergenza dell’epidemia. Ecco alcuni passaggi.

“In questa Santa Messa di una Pasqua veramente anomala, inusuale, portiamo all’altare i tanti dolori di questi mesi, i tanti morti che non hanno potuto avere il funerale, l’ultimo commiato con la presenza dei loro cari. Ricordiamo tutti i deceduti senza distinzione, una preghiera particolarissima per i troppi medici e operatori sanitari che hanno pagato con la vita il loro generoso servizio ai contagiati di Covid 19. Affidiamo al Signore la nostra volontà di ripartire, sapendo che i veneti hanno sempre dato il meglio di se quando si è chiesto loro di stringere i denti: siamo abituati a farlo. Il segretario generale di Unioncamere Veneto, il dottor Crosta, che è anche il presidente della nuova Fondazione Marcianum, ricorda che la ripresa è difficile, servirà un supporto alle imprese e il raccordo tra Regione, le Camere di Commercio, ed io aggiungo anche il Comune di Venezia. Perché Venezia è particolarmente esposta per la situazione che la riguarda, vive di turismo, ed il turismo sarà un reparto che faticherà molto a ripartire a livello mondiale. Le associazioni dovranno pensare, e ancora fare un patto tra di loro, le associazioni di categoria, i sindacati, perché i corpi intermedi siano luogo di dialogo costruttivo e non di polemiche inutili”.

“Covid-19 ci ha costretti a fermarci, l’Italia è un paese fermo, che deve ripartire. Ma costringendoci a fermarci, il Covid-19 ci ha obbligati a riflettere. La nostra società così frenetica ha bisogno di tornare a riflettere uscendo dal pensare al politicamente corretto, che interessa solo ai politici di professione. Bisogna uscire da schemi preconfezionati, da parole che risuonano retoriche. La nostra epoca erroneamente pensava di aver archiviato le ideologie, invece è portatrice di una ideologia più sottile, insidiosa, quella del riduzionismo, ossia non sapere o non volere cogliere il ‘tutto’ che ha anche un altro nome: ‘bene comune’. Fermarsi ad un aspetto, fermarsi al particolare, isolare una pratica ed un interesse considerandolo il ‘tutto’. Alcuni esempi: la generazione ridotta a riproduzione, l’educazione a pura istruzione, la politica a governabilità a tutti i costi, dimenticando la rappresentanza reale della democrazia. Dobbiamo andare oltre il pensiero strumentale ossia l’efficientismo, quello che si pone solo alcune domande come: in che modo posso fare una cosa? E non chiedendosi più perché la faccio, o è bene farla? La crisi del nostro occidente prima di tutto è culturale. Sono venute meno le domande sul senso della vita che fondano l’etica. E una società senza etica, non presente e neppure futuro. Prima di chiedersi come fare una cosa, bisogna chiedersi perché la si fa o se è bene farla. Il desidero di tornare a pensare, stimolati dal dramma che stiamo vivendo ci porta ad interrogarci sulla vulnerabilità personale e sociale. Certo, non dobbiamo interrogarci spinti dalla paura, ma serenamente partendo dai fatti contro cui si scontrano le opinioni personali. Pensavamo di essere invulnerabili, ma non lo siamo. I fatti ci dicono che non lo siamo”.

“Questi giorni di pandemia hanno scardinato molte nostre certezze, per cui anche chi non era incline a riflettere o ad interrogarsi è invitato a farlo. Pensavo di essere protetti dalle tutele assicurative e sanitarie, pensionistiche, ed invece ci siamo riscoperti fragili, oltremodo vulnerabili. I fatti ci hanno riportato drammaticamente ad una realtà. I fatti ci obbligano, come furono obbligate le donne la mattina di Pasqua, arrivate al sepolcro con le loro certezze: Gesù è morto. Ma oltre queste certezze c’è l’amore Onnipotente ed Eterno di Dio”.

Con l’aiuto di Dio nei prossimi mesi, dovremo rimboccarci le maniche. Non dovremo solo cercare equilibri nuovi, ma trovare una nuova saggezza nell’organizzare la filiera che conduce al bene comune di un territorio, di uno Stato, sin una comunità di Stati del mondo intero. Anche in questo ci aiuterà la Luce della Pasqua che guarda l’uomo prima nel suo bisogno di solidarietà e inclusione, poi di consumo e anche di performance. In questo periodo di emergenza sanitaria e di grande difficoltà economica, dobbiamo riflettere sulle nostre responsabilità di uomini in ordine al senso dell’esistenza di un domani che ci attende, che non sarà né facile, né scontato, e proprio per questo non ci fa paura. Per questo dobbiamo imparare a vivere il messaggio della Pasqua anche come cittadini, non solo all’interno dei nostri cuori, ma anche come annuncio dato al mondo di oggi. E’ nel cantiere della storia che si costruisce la vera speranza cristiana, la certezza che Cristo ha vinto, insieme al peccato, ogni atteggiamento disumano. A noi suoi discepoli dirlo, nella fede, facendoci portatori di una nuova visione dell’uomo che guardia proprio all’umanità di Cristo che è l’unico progetto di Dio per una storia riconciliata e riconciliante”.