Se la produzione di vino in Veneto ha segno positivo con un +5%, quella nel veneziano ancora è in bilico.
Dal punto di vista quantitativo infatti ci attestiamo nella normalità ovvero intorno ai massimali richiesti dai disciplinari di produzione, in quanto alle gradazioni sono molto difformi, a seconda della salubrità dell’uva.
Se lo scorso anno a mettere a dura prova i viticoltori è stata la siccità, quest’anno al contrario è stata l’eccesiva piovosità spesso accompagnata dalla grandine. Eccezionali sono stati anche gli sbalzi temici con punte minime che a fine luglio sono variate dagli 11°C del mattino, fino agli oltre 30° C del pomeriggio, condizioni climatiche ottimali per lo sviluppo della Peronospora, malattia causata da un fungo, (Plasmopara viticola) che in questa stagione si è manifestata in modo particolarmente aggressivo. Nel territorio veneziano e anche nel resto del Nord Italia, siamo ben preparati ad affrontare questo fungo ma quest’anno le infezioni sono state talmente ravvicinate che i danni causati dal patogeno non sono trascurabili.
“Insomma stiamo affrontando una vendemmia difficile – spiega l’enotecnico di Coldiretti Venezia Orazio Franchi – Difficile però non vuol dire disastrosa. E’ necessario essere rapidi nel portare l’uva in cantina, fortunatamente infatti oggi la meccanizzazione ci consente raccolte veloci e rispettose della pianta e dell’uva, inoltre, in cantina poi possiamo contare su tecnologie non tanto di natura chimica quanto di natura fisica che ci permettono di pulire rapidamente i mosti in modo tale che la fermentazione alcolica avvenga su un prodotto pulito, fattore fondamentale, questo, per ottenere vini sani e di qualità.”
Ecco che un bravo enologo è quello che interviene in modo rispettoso nei confronti del vino, utilizzando le nuove tecnologie. Tecnologie che si sono evolute al punto che oggi il diploma di enologo non basta più e gli enologi si formano nelle università.
“Trentacinque, quarant’anni fa, una vendemmia simile avrebbe fatto perdere il sonno a qualunque tecnico- afferma Orazio Franchi – oggi siamo in grado, comunque, di ottenere vini buoni.”
Allargando la visione a livello nazionale, la produzione – sottolinea la Coldiretti – è stimata intorno ai 43,9 milioni di ettolitri in calo del 12% rispetto al 2022, facendo entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia del vigneto Italia nell’ultimo secolo insieme al 1948, al 2007 e al 2017. Il risultato è che per la prima volta dopo anni l’Italia – precisa Coldiretti – potrebbe non essere più il maggiore produttore mondiale di vino superata in quantità dalla Francia che dovrebbe produrre 45 milioni secondo l’ultimo bollettino del Ministero dell’agricoltura francese dell’8 settembre scorso.
La sfida con i cugini francesi è in realtà soprattutto sulla valorizzazione della produzione che in Italia si attende comunque di alta qualità e – sottolinea la Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità con vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria. Il processo di qualificazione del vino Made in Italy è confermato dal successo dell’export anche in Francia dove però si bevono sempre più bottiglie italiane con un balzo del +18,5% in valore delle esportazioni nazionali di vino Oltralpe nei primi cinque mesi del 2023, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat.
Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato all’estero con un valore che nel 2022 è stato pari a 7,9 miliardi sui mercati mondiali creando opportunità di lavoro che spaziano dai viticoltori agli addetti nelle cantine fino alla distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi).
Un tesoro del Made in Italy sul cui futuro pesano però le incognite legate alle politiche adottate dall’Unione Europea – ricorda Coldiretti – a partire dalla scelta della Commissione di dare il via libera all’introduzione di etichette allarmistiche sul vino decisa dall’Irlanda. Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini secondo la Coldiretti non può, infatti, tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate.
“Il vino rappresenta un patrimonio del Made in Italy anche dal punto di vista occupazionale che va difeso dai tentativi di colpevolizzarlo sulla base di un approccio ideologico che non tiene contro di una storia millenaria che ha contribuito non solo a far grande il nostro agroalimentare, ma si inserisce appieno nella Dieta Mediterranea che in questi anni ha visto gli italiani primeggiare per longevità a livello europeo e mondiale” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.