Sedotta e abbandonata
Sedotta e abbandonata

Prende il via mercoledì 4 agosto a Venezia – e prosegue fino al 20 agosto, dal mercoledì alla domenica alle ore 21 al Teatro Piccolo Arsenale – la seconda edizione della rassegna cinematografica Classici fuori Mostra organizzata dalla Biennale di Venezia.

Il primo film in programma è Sedotta e abbandonata (1964) di Pietro Germi, con Stefania Sandrelli, memorabile commedia premiata a Cannes dove Germi, sulla scia del successo di Divorzio all’italiana (1961), ripropone una Sicilia dominata da un grottesco senso dell’onore. Il restauro è a cura della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Cristaldifilm e il sostegno del MIC. Nel film, Agnese (Stefania Sandrelli), giovane e bella siciliana, è sedotta dal fidanzato della sorella. Il padre (Saro Urzì) della ragazza esige così nozze riparatrici, ma il seduttore rifiuta. Scritto da Age, Scarpelli e Luciano Vincenzoni, Sedotta e abbandonata venne premiato al Festival di Cannes.

Saranno tredici i classici della rassegna, recentemente restaurati dalle principali cineteche di tutto il mondo, proposti in versione originale con sottotitoli in italiano.

Dopo Sedotta e abbandonata, saranno presentati questa settimana:
·       giovedì 5 agosto Muhomatsu no issho (L’uomo del risciò, 1943) di Hiroshi Inagaki
·       venerdì 6 agosto Le circle rouge (I senza nome, 1970) di Jean-Pierre Melville
·       sabato 7 agosto Goodfellas (Quei bravi ragazzi, 1990) di Martin Scorsese
·       domenica 8 agosto Cronaca di un amore (1950) di Michelangelo Antonioni

Particolari facilitazioni sono previste per gli studenti (biglietto ridotto studenti 2,50 euro, abbonamento studenti 20 euro, biglietto intero 8 euro, abbonamento intero 60 euro).

Il programma completo di Classici fuori Mostra

Teatro Piccolo Arsenale
Le proiezioni si terranno alle ore 21

Mercoledi 4 agosto
SEDOTTA E ABBANDONATA
di Pietro GERMI
con Stefania Sandrelli, Saro Urzì, Aldo Puglisi, Lando Buzzanca, Leopoldo Trieste, Rocco D’Assunta, Lola Braccini, Umberto Spadaro
Italia /Francia, 1964,  118’
Restauro a cura della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Cristaldifilm e con il sostegno del MIC
“Sulla lapide di Vincenzo Ascalone campeggia la scritta: “Onore e famiglia”. Lui, per tutto il film, non ha fatto altro che ordire stratagemmi sempre più catastrofici e occultamenti sempre più asfissianti, per salvaguardare e perpetuare questa diade intoccabile, su cui un intero equilibrio sociale pare necessariamente reggersi. Solo che tutto gli congiura contro: una figlia troppo bella (la Sandrelli qui è indimenticabile), il sole troppo a picco, una frenesia del desiderio che convenienze e convenzioni non sono in grado di arginare”. (Andrea Meneghelli)
“Io trovo che il mio non è nemmeno un film molto siciliano, il film trae spunto dalla realtà siciliana, ci affonda dentro con tutte le radici per mirare a un significato assolutamente simbolico che è proprio quello dell’alienazione, cioè è la rappresentazione di uomini alienati da un mito che in questo caso è quello dell’onore, che in altri casi può essere un altro mito, può essere la Patria, il Denaro, la Religione, non lo so, ce ne sono tanti. È la rappresentazione di un mondo alienato, in chiave grottesca, quindi esasperata, quindi gonfia, con un lievito velenoso” (Pietro Germi)

Giovedi 5 agosto
MUHOMATSU NO ISSHO (L’UOMO DEL RISCIÒ)
di Hiroshi INAGAKI
con Tsumasaburo Bando,Yasushi Nagata, Keiko Sonoi, Kamon Kawamura, Hiroyuki Nagato, Ryunosuke Tsukigata, Kyoji Sugi
Giappone, 1943, 80’
Restauro a cura di Kadokawa Corporation e The Film Foundation, in collaborazione con The Kyoto Film Archive
“Film-ritratto: i flash-back e le sequenze che si svolgono nel presente, situati sullo stesso piano, mostrano in altrettante sfaccettature i diversi aspetti della personalità di Matsugoro, ‘il Ribelle’, figura quasi leggendaria del popolino giapponese. Matsugoro incarna, nella sua condizione modesta, tratti eterni del carattere nazionale: la fierezza scontrosa, il coraggio, l’abnegazione, la fedeltà alle tradizioni, il rispetto – che può spingersi fino al sacrificio – del codice morale dell’epoca. Più che per certe ricercatezze formali (collegamento tra sequenze e scorrere del tempo segnati dal filo conduttore visivo della ruota del risciò in movimento), il film vale soprattutto per la sua spontaneità, la sua freschezza, la sua bonarietà” (Jacques Lourcelles).

Venerdi 6 agosto
LE CERCLE ROUGE (I SENZA NOME) 
di Jean-Pierre MELVILLE
con Alain Delon, Gian Maria Volonté, Yves Montand, Bourvil, Paul Crauchet, Paul Amiot, Pierre Collet, François Périer
Francia, 1970, 140’
Restauro a cura di StudioCanal e CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée
“Penultimo film di Jean-Pierre Melville è apparentemente un noir avvincente sulla meticolosa preparazione e attuazione di una rapina notturna in una grande gioielleria di Place Vendôme. Ma, come sempre accade nel cinema del grande autore francese, i cliché di una caper story sono calati in una malinconica contemplazione dell’aleatorietà, dell’inutilità e della solitudine che caratterizzano la condizione umana. Le Cercle rouge può sembrare realistico, per la precisione dei dettagli e l’adesione alla continuità reale delle azioni (come la rapina, che dura venticinque minuti) ma in effetti Melville dissemina e moltiplica una serie di sottili, deliberate e stranianti inverosimiglianze che conferiscono al film un’atmosfera quasi trasognata, anche grazie alla magnifica fotografia di Henri Decaë e ai suoi cromatismi blu metallici” (Roberto Chiesi)

Sabato 7 agosto
GOODFELLAS (QUEI BRAVI RAGAZZI)
di Martin SCORSESE
con Ray Liotta, Robert De Niro, Joe Pesci, Lorraine Bracco, Paul Sorvino, Frank Sivero, Tony Darrow, Mike Starr, Catherine Scorsese, Charles Scorsese
USA, 1990, 146’
Restauro a cura di Warner Bros. Entertainment
“Fin dall’età della ragione avevo deciso che da grande avrei fatto il gangster”. E’ il secco, lucido e già celebre inizio del racconto della propria vita fatto da Henry Hill […]. Quei bravi ragazzi e innanzitutto un interessantissimo saggio di antropologia mafiosa, che analizza abitudini, comportamenti, mentalità, vita materiale di una speciale etnia, la delinquenza italoamericana di Manhattan. […] C’è, dichiaratamente, tutto il cinema di gangster hollywoodiano e d’altronde la struttura di base e quella classica: l’ascesa e la caduta, il potere e la polvere. […] Quelli che Scorsese ha in mente, più che i classici Piccolo Cesare o Scarface, sono i piccoli gangster- movie ‘neorealisti’ degli anni Quaranta come Il bacio della morte di Hathaway. O, aldila del genere, La presa del potere da parte di Luigi XIV di Rossellini […]. Scorsese monta i tempi di Quei bravi ragazzi con la precisione di un orologio e la liberta che amava nei cineasti nouvelle vague, ne
i “primi due minuti di Jules et Jim””. (Alberto Farassino)

Domenica 8 agosto
CRONACA DI UN AMORE
di Michelangelo ANTONIONI
con Lucia Bosè, Massimo Girotti, Ferdinando Sarmi, Gino Rossi, Marika Rowsky, Rosi Mirafiore, Franco Fabrizi, Vittoria Mondello
Italia, 1950, 98’
Restauro a cura di Cineteca di Bologna, in collaborazione con Surf Film
“Il neorealismo ci aveva insegnato a seguire i personaggi con la macchina da presa, Ladri di biciclette era un grande film in cui la macchina da presa rimaneva sempre all’esterno dei personaggi. Di questo invece io mi ero stancato, non potevo più sopportare il tempo reale. Sono partito da un’altra osservazione. Mi sembrava fosse più importante fermarsi sul personaggio, dentro il personaggio, per vedere che cosa di tutto ciò che era passato, la guerra, il dopoguerra, tutti i fatti che ancora continuavano ad accadere, che cosa era rimasto di tutto questo dentro i personaggi. Quali erano non dico le trasformazioni della loro psicologia o del loro sentimento, ma i sintomi di quella evoluzione e la direzione nella quale cominciavano a delinearsi i cambiamenti e le evoluzioni nella psicologia e nei sentimenti e forse anche nella morale di queste persone. Cronaca di un amore è la cronaca intima di un amore in due tempi, un sondaggio nell’animo di due personaggi”. (Michelangelo
Antonioni)

Mercoledi 11 agosto
DEN MUSO (LA RAGAZZA)
di Souleymane CISSÉ
con Dounamba Dany Coulibaly, Balla Moussa Keita, Ismaila Sarr, Fanta Diabate, Mamoutou Sanogo, Oumou Diarra, Mamadou Tarawele
Mali, 1975, 88’
Restauro a cura di Souleymane Cisse e Cinematheque francaise, in collaborazione con Cinematheque Afrique e Institut francais
“Den Muso è il primo lungometraggio di un grande cineasta. L’eterna storia della giovane violentata, messa incinta e abbandonata è d’una tristezza straziante, e il film svela meccanismi sociali – e religiosi – così inestricabili che il peggio è sempre assicurato. Su questa dichiarata trama da melodramma classico Cissé mostra con precisione documentaria un Mali che si sta urbanizzando a tutta velocità e il crescente divario tra la grande borghesia delle ville, la gioventù delle strade di Bamako e le viuzze terrose del paese di un tempo. La sordomuta immolata da un cretino ambizioso rappresenta ovviamente il silenzio imposto alle donne e il peso schiacciante del patriarcato. Il potere dell’epoca non ci casca: Cissé verrà spedito in carcere e il film sarà totalmente vietato per tre anni. (…) Den Muso segna anche il primo affiorare di una scrittura cinematografica assolutamente singolare, che all’asciuttezza della constatazione sociale unisce l’ode all’infin
ita bellezza del mondo”. (Frédéric Bonnaud )

Giovedi 12 agosto
UTÓSZEZON (TARDA STAGIONE)
di Zoltán FÁBRI
con Antal Pager, Janos Rajz, Sandor Kőmives, Samu Balazs, Jozsef Szendrő,  Noemi Apor, Lajos Basti, Janos Zach
Ungheria, 1966, 120’
Restauro a cura di Nemzeti Filmintezet Magyarorszag (Hungarian National Film Archive), in collaborazione con Magyar Operatorok Tarsasaga HSC, con il sostegno di Magyar Műveszeti Akademia
“Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 1967, dove vinse quattro premi minori e fu protagonista di accese polemiche, Utoszezon è un film dove uno dei nomi più importanti del cinema ungherese e della sua new wave degli anni Sessanta, Zoltán Fábri, prosegue la sua disamina morale della storia recente del suo paese e degli anni del nazismo in particolare, come già in nei precedenti Due tempi all’inferno (1961) e Venti ore (1965). Qui però – partendo da un romanzo di György Rónay che la sceneggiatura di Péter Szász tradisce con intelligenza – i toni non sono unicamente drammatici, ma partono con quelli della commedia strampalata e si evolvono attraverso il grottesco per approdare al dramma angosciante e kafkiano, ragionando di Olocausto e senso di colpa, ma senza mai perdere quell’imprinting originale che gli permette di virare improvvisamente verso l’umorismo più sospeso e surreale”. (Federico Gironi)

Venerdi 13 agosto
YOU ONLY LIVE ONCE (SONO INNOCENTE)
di Fritz LANG
con Sylvia Sidney, Henry Fonda, Barton MacLane, Jean Dixon, William Gargan, Jerome Cowan, Charles‘Chic’ Sale, Margaret Hamilton, Warren Hymer
USA, 1937, 86’
Restauro a cura di StudioCanal
“Diretto da Fritz Lang in piena autonomia artistica, You Only Live Once presenta Henry Fonda e Sylvia Sidney nel ruolo di una coppia in fuga intrappolata dalle forze sociali e dal destino. I brividi suscitati dal film percorrono i ricordi cinematografici di James Baldwin nel saggio autobiografico del 1976 The Devil Finds Work: “All’epoca di You Only Live Once Lang si era ormai ambientato negli Stati Uniti. Non conseguì mai più risultati cosi brillanti. La premessa di You Only Live Once è che l’ex detenuto Eddie Taylor vuole ‘rigare diritto’, ma la società non gli perdona il suo passato e non gli permette di redimersi. […] Possiamo difenderci dall’accusa che Lang lancia alla gente senza volto di cui è fatta la società, tanto  disponibile alle cerimonie pubbliche quanto assente da quelle private, ma siamo indifesi di fronte alla riflessione sulle conseguenze di quella condotta, l’isolamento e la sventura dei due amanti”. (Alexander Horwath).

Sabato 14 agosto
SERPICO
di Sidney LUMET
con Al Pacino, John Randolph, Jack Kehoe, Biff McGuire, Barbara Eda-Young, Cornelia Sharpe, Tony Roberts, John Medici, Allan Rich, Norman Ornellas
USA, 1973, 130’
Restauro a cura di StudioCanal
“Serpico prende il vecchio film poliziesco e lo porta con i lampeggianti accesi e le sirene spiegate nell’era del Watergate. Il film più duro e provocatorio di Lumet da svariati anni è la storia del poliziotto newyorkese Frank Serpico, che nel 1970 denunciò il marcio e la corruzione dilaganti nel dipartimento di polizia cittadino portando alla costituzione della Commissione Knapp e al più grande repulisti della storia del dipartimento. Serpico non è un nuovo tipo di eroe. La figura di colui che tenta di opporsi al sistema affascina sin dai tempi in cui i primi drammaturghi greci misero in discussione il senno e la saggezza di alcuni dei loro dei. Serpico, tuttavia, è un nuovo tipo di film poliziesco, e il suo protagonista magnificamente interpretato da Al Pacino in quel suo perlustrare le strade della città è un nuovo tipo di eroe”. (Vincent Canby)

Domenica 15 agosto
NEOKONCHENNAYA PYESA DLYA MEKHANICHESKOGO PIANINO (PARTITURA INCOMPIUTA PER PIANOLA MECCANICA)
di Nikita MIKHALKOV
con Aleksandr Kaljagin, Elena Solovej, Evgenija Glušenko, Antonina Šuranova, Jurij Bogatyrev
Unione Sovietica, 1976, 102’
Restauro a cura di Mosfilm Cinema Concern
“Michalkov ha costruito il suo film sulla base di temi cecoviani raccolti attorno al Platonov, una commedia che lo scrittore ha composto quando aveva diciassette anni. L’inizio, anche se ben padroneggiato, annoia un po’: ci si dice che ancora una volta un cineasta sovietico ricopia con talento un classico russo. A che pro? Ma ben presto si libera, il teatro si cancella, la società zarista si mette in posa nel suo splendore, le sue lacerazioni, le sue vanità, i suoi dubbi e, come ci si aspetta da Čechov, nell’oscuro presentimento della sua caducità. Che un muzik possa suonare il pianoforte e un fatto proprio scandaloso, quasi una rivoluzione. Ma si trattava solo di una pianola meccanica. Nobiltà e borghesia restano cosi in equilibrio fra il no e il si, ciò che le nega e ciò che – ancora per un po’ – le rassicura, le conferma nella loro sovranità”.  (Barthélemy Amengual)

Mercoledi 18 agosto
LA ÚLTIMA CENA
di Tomás GUTIÉRREZ ALEA
con Nelson Villagra, Silvano Rey, Luis Alberto Garcia, Jose Antonio Rodriguez,Samuel Claxton, Mario Balmaseda, Idelfonso Tamayo, Julio Hernandez
Cuba, 1976,  113’
Restauro a cura di ICAIC e Academy Film Archive, in collaborazione con  Cinématheque Royale de Belgique
“La ùltima cena, ironica allegoria sull’ipocrisia religiosa della società coloniale del Diciottesimo secolo, è un’opera magistrale dalla prima all’ultima immagine. L’idea iniziale del film nacque dalla lettura di un singolo paragrafo del voluminoso saggio economico El ingenio (1964), dello storico Manuel Moreno Fraginals, nel quale si racconta la storia del Conte di Casa Bayona, che un Giovedì santo lavo i piedi a dodici dei suoi schiavi e li invitò alla sua tavola per alleggerirsi la coscienza. Le conseguenze di questa azione saranno imprevedibili. L’impressionante sequenza della cena e il nucleo strutturale del film; quasi un’ora durante la quale vengono presentati i personaggi degli schiavi e, come dichiarò il regista, “è qui che si rivela la specifica personalità di alcuni schiavi che interpretano momentaneamente il ruolo di apostoli. L’intento è quello di mettere in discussione l’immagine assai controversa che la cultura dell’oppressore ha costruit
o dello schiavo, rivelandone cosi tutti gli aspetti contraddittori”. (Luciano Castillo)

Giovedi 19 agosto
CLAUDINE
di John BERRY
con James Earl Jones, Diahann Carroll, Lawrence-Hilton Jacobs, Tamu, David Kruger, Yvette Curtis, Eric Jones
USA, 1974, 88’
Restauro a cura di Century-Fox Film Corp
“Claudine è un film insolito per vari motivi. Racconta com’è essere neri e poveri, vivere di sussidi, tentare di sbarcare il lunario economicamente ed emotivamente senza essere costretti dal sistema a imbrogliare. La cosa più insolita di Claudine è che sembra prendere sul serio la vita familiare, cosa che oggi fanno pochissimi film. Claudine non è molto diverso da una tipica sitcom televisiva, almeno dal punto di vista stilistico. É un film molto gradevole. I colori, perfino sulle strade di Harlem cosparse di rifiuti, sono vivaci e allegri come quelli dei dépliant dei Caraibi. La protagonista è interpretata da Diahann Carroll, una donna dalla bellezza  singolare, chic a suo modo anche quando è in vestaglia. I suoi sei figli, frutto di due matrimoni e di due “unioni consensuali”, non sono mai a corto di parole, talvolta brutalmente schiette ma molto spesso  esilaranti, un po’ come quelle che i ragazzini in carne e ossa sognano di pronunciare ma raramente pronunciano
. Tutto questo è vero. Eppure Claudine è una commedia americana di prim’ordine che da spessore a una forma popolare. É anche il primo film importante sulla vita contemporanea degli  afroamericani a raccontare le speranze, le lotte, le sconfitte e le frustrazioni di persone che non siano superpoliziotti, supermusicisti, superstalloni o superspacciatori” (Vincent Canby).

Venerdi 20 agosto
FUKUSHÛ SURU WA WARE NI ARI (LA VENDETTA È MIA)
di Shôhei IMAMURA
con Ken Ogata, Rentaro Mikuni, Chocho Miyako, Mitsuko Baisho, Mayumi Ogawa
Giappone, 1979, 140’
Restauro a cura di Shochiku
“Fukushu suru wa ware ni ari si basava su un mito contemporaneo, urbano: il mito del genio del crimine che viola impunemente tutte le leggi sociali e si fa strada nel paese rubando, seducendo, ingannando e uccidendo  finché, per porre il necessario limite a questa pericolosa fantasia, non viene catturato. Tratto da una storia vera,con la mediazione di un romanzo di Ryuzo Saki, il film segue Iwao Enokizu (Ken Ogata) in settantotto giorni di crimini che iniziano con il brutale omicidio a martellate di un tecnico riparatore (ripreso nel modo piu straziante che si possa immaginare, con un campo medio neutrale, hawksiano) e si concludono con lo strangolamento dell’amante del protagonista, la quale gli si offre come vittima consenziente mentre fanno l’amore. […] Enokizu adotta una serie di identità come maschere per coprire il proprio vuoto interiore. In lui non c’è altro che l’impulso a correre e a distruggere; quando trova una possibile isola di salvezza, nella locanda di
periferia in cui lavora la sua amante, e costretto a distruggere anche quella. […] Ma è l’estremo rifiuto di Imamura di disprezzare o perdonare il suo protagonista a rendere Fukushu suru wa ware ni ari un’esperienza devastante. Come Sadako [in Desiderio d’omicidio (1964)], Enokizu e al di là di ogni giudizio: è una forza nel mondo, un fatto”. (Dave Kehr)