Noi parliamo di Beppe Grillo, ma in realtà è partito tutto da Mark Zuckerberg e Donald Trump. Settimane prima che il leader dei 5 Stelle proponesse il varo di una giuria popolare per smascherare le notizie scarsamente credibili, infatti, il fondatore di Facebook aveva già espresso tutto il suo sgomento per l’elezione del tycoon newyorkese alla Casa Bianca: e aveva indicato proprio nell’esorbitante flusso di bufale pro-Trump il fattore che ha influenzato decisivamente il più importante evento politico del pianeta.[s2If !current_user_can(access_s2member_level1)] …READ MORE[/s2If][s2If current_user_can(access_s2member_level1)]

mark-zuckerberg-qa-colombiaPer la sua natura di social tentacolare e trasversale, Facebook è ormai il punto d’appoggio principale di tutte quelle notizie create ad hoc per orientare in questa o quella direzione l’opinione pubblica, condizionandola nelle sue idee grazie alla natura virale del mezzo. Zuckerberg, preso atto della gatta da pelare, ha negli scorsi mesi scoperchiato il vaso di pandora sul problema delle bufale in rete, spiegando la necessità dell’azienda di Menlo Park di ridurre il rischio fake news da un lato, ed evitare censure di carattere editoriale dall’altro. Il piano presentato da Facebook per arginare con equità il fenomeno, si articola 7 punti:

  • Intelligenza Artificiale. Non è un segreto che la divisione Ricerca & Sviluppo di Menlo Park concentri da tempo le proprie forze sugli algoritmi di riconoscimento automatico. Migliorando la capacità del software di classificare la disinformazione, sempre più notizie fasulle verranno filtrate “a monte” (laddove oggi serve l’intervento umano “a valle”, ossia dopo la pubblicazione, per segnalarne la non veridicità);
  • facilità di segnalazione. Fornendo all’utenza strumenti sempre più rapidi per indicare una bufala dovrebbe aiutare il sito a farla sparire più celermente. Si tratta tuttavia di un metodo che presenta controindicazioni: anche i cosiddetti “segnalatori folli” vanno tenuti sotto controllo;
  • verifica di terzi. Zuckerberg oggi considera fondamentali le organizzazioni di fact checking. “abbiamo in programma di imparare da loro e di più”;
  • tag di avvertimento. Al pari di Google, anche Facebook sta studiando nuovi metodi per etichettare ad hoc una notizia che è già segnalata come falsa da un tot di utenti, onde suggerire a chi la legge di “prenderla con le pinze”;
  • “No money no party”. In molti casi la disinformazione ha natura di spam. Per esempio, al gruppo di copywriter macedoni che hanno prodotto una montagna di bufale contro la Clinton, interessava fondamentalmente guadagnare soldi, più che sostenere l’ideologia di Trump in sé e per sé. Zuckerberg intende trovare il modo di interrompere il rapporto di interesse economico fra le bufale web e i falsi annunci politici.
  • lavoro a “quattro mani” coi giornalisti. Proprio come farebbe una media company in piena regola, Facebook lavorerà sempre più fianco a fianco a giornalisti ed altri professionisti del settore notizie, al fine di capire meglio la loro sensibilità culturale e i loro sistemi di controllo.

ben-smith-120915-1449674605A quest’ultimo proposito, secondo una fonte particolarmente ferrata sull’argomento come Bufale.net, è verosimile che Menlo Park predisponga un suo team interno di giornalisti col compito di verificare sotto la lente d’ingrandimento tutte quelle notizie pubblicate su Facebook che superino una data soglia di segnalazioni da parte degli utenti. Mutatis mutandis, tutte le notizie in odore di falsità (o perlomeno quelle che ricevano un certo seguito), verranno sottoposte ad un vaglio su tre fronti: quello generale dell’utenza, quello professionale dei giornalisti supervisori, e infine, al momento giusto, quello di un’Intelligenza Artificiale capace di auto-istruirsi nel merito.

Strutturarsi contro le bufale, del resto, diverrà nel giro di pochissimo tempo pressoché un obbligo per moltissimi portali social, se vorranno sopravvivere ad una minaccia che già nel 2017 si preannuncia sempre più sofisticata e sempre più difficile da isolare. Dopo quella del fondatore di Facebook, l’altra voce autorevole che ha recentemente portato il problema sul granda tavolo del web è quella di Ben Smith, direttore di BuzzFeed. In una relazione di fine anno al proprio staff, Smith ha predetto che le cosiddette fake news fioriranno più che mai nel 2017. “Notizie e storie false, ambigue e ben imbastite si diffonderanno ampiamente, e le bufale aumenteranno via via il loro valore di produzione. Ad esempio, sta diventando sempre più semplice creare video facendo dire a una persona qualcosa che non ha mai detto; uno strumento utile sia per notizie false che per false smentite”.

Smith ha quindi parlato  delle bolle di filtraggio, quei sistemi di personalizzazione dei risultati di ricerche su siti web, che sono in grado di usare informazioni sull’utente per scegliere tra tutte le risposte quelle che vorrebbe vedere l’utente stesso: “questi algoritmi porteranno narrazioni concorrenti da universi di fatti paralleli”.

La relazione del direttore di BuzzFeed ha poi lasciato di stucco raccontando un fatto di cronaca che negli Stati Uniti ha recentemente dimostrato i pericoli sociali connessi alla diffusione incontrollata delle bufale in rete: “Una famiglia ebrea infastidita da una notizia falsa ma secondo cui avrebbe fatto annullare una recita natalizia, ma diventata subito virale, è addirittura ‘scappata’ dalla città in cui viveva”.

Fortunatamente, però, secondo Smith il pubblico sta acquisendo progressivamente migliori strumenti di consapevolezza, diventando pian piano più abile a navigare tra le informazioni e mediarne i contenuti. “Siamo più bravi a capire il modo in cui le notizie viaggiano e il ruolo delle piattaforme, a esporre queste notizie chiaramente e accuratamente, e a sfatare quelle false”.

what-is-fake-news--main_thumb800In Italia, è stato approvato da ormai un anno un nuovo codice etico dietro la cui rubrica “Testo unico dei doveri del giornalista” fa capolino l’inedito obbligo di usare deontologia professionale anche durante l’attività sui social network. In soldoni, qualunque addetto ai lavoro iscritto all’albo dei professionisti o dei pubblicisti è tenuto a verificare la solidità delle informazioni che diffonde sul proprio profilo. Soluzione normativa senz’altro benvenuta, ma che può combattere il rischio-bufale solo marginalmente: la stragrande maggioranza dei contenuti fake, infatti, non è certo pubblicata nella forma di post privati, bensì è il malsano prodotto finito di un processo contorto che ha quasi sempre, in via diretta o indiretta, una finalità di lucro. [/s2If]