Siro Martin, presidente di Confartigianato Metropolitana di Venezia
Nell’area metropolitana alle già 559 aziende rientrate nella prima lista ristori se ne aggiungeranno altre 876. Per Siro Martin, presidente della Confartigianato Metropolitana Venezia: “Serviranno altre risorse, magari a fondo perduto. Siamo davanti il rischio imminente di nuove misure restrittive nel periodo più importante dell’anno per un sistema economico ormai allo stremo”
“Bene all’allargamento dei ristorati che comprende più ampiamente la filiera delle attività coinvolte dalle restrizioni decise a causa del Covid, ma se si decideranno altre restrizioni bisognerà trovare altre risorse per limitare al massimo le ripercussioni sul già fragile tessuto economico delle micro, piccole e medie imprese dell’area metropolitana”. Il plauso con riserva alle ultime disposizioni in merito agli aiuti alle imprese deciso dal governo con il Decreto Ristori bis, arriva dal presidente della Confartigianato Metropolitana Venezia Siro Martin, che se da un lato accoglie con soddisfazione le attenzioni del governo, dall’altro sottolinea l’importanza di trovare urgentemente altre risorse in vista di un probabile nuovo lockdown. “Purtroppo i segnali sulla diffusione dei contagi non sono rassicuranti, e nel caso di un’ulteriore stretta necessaria, rimane altrettanto necessario che Governo e Regione siano pronti ad ulteriori stanziamenti emergenziali”. Fatti due conti e i necessari riscontri, con i nuovi codici Ateco compresi nel Decreto Ristori bis, in provioncia oltre alle già 559 aziende rientrate nella prima lista ristori se ne aggiungeranno altre 876, portando così ad un totale di 1.435 le imprese ristorate. Cifre non da poco, perché dietro il numero delle aziende c’è quello ben più pesante degli addetti che vi lavorano. Se con il primo decreto gli aiuti sono ricaduti su 1.811 lavoratori, con questo nuovo Decreto se ne sono aggiunti altri 2.351, per un totale di 4.162 lavoratori e rispettive famiglie che, nell’area metropolitana, in qualche modo verranno aiutati.
“La situazione rimane complessa – aggiunge Martin – perché il rischio di queste restrizioni arriva in un periodo dove gli incassi sono importanti per l’intero fatturato annuale, per questo accanto alle misure già decise sarebbe importante aggiungere anche la possibilità di erogare contributi a fondo perduto pensati per le imprese danneggiate e che con fatica cercano di restare sul mercato. Le risorse potenzialmente ci sono, e sono quelle del fondo riservato all’Italia dal Recovery Fund. Ma per usarle correttamente serve anche un proverbiale salto di qualità del nostro apparato burocratico nella progettazione dell’utilizzo degli stanziamenti europei, visto che finora, stando ai recenti dati della Corte dei Conti Ue l’Italia resta il fanalino di coda nell’assorbimento dei fondi strutturali. Basti pensare che nel 2019 si è arrivati a stento a superare l’uso del 30% degli stanziamenti disponibili, rispetto ad una media europea del 40%. E questo vuol dire che non siamo stati capaci di investire, abbiamo “bruciato” il 70% dei fondi che ci arrivano dall’Europa”.