Oggi a Mareno di Piave si è svolto Consiglio generale della Cisl Fnp Belluno Treviso

 

Il riconoscimento del lavoro di cura, ma anche il senso profondo e valoriale del lavorare oggi e i vuoti di senso con conseguente smarrimento che stanno portando tanti giovani oggi a non accettare impieghi mal retribuiti o non stimolanti. Tante le questioni affrontate dal Consiglio generale della Cisl Fnp Belluno Treviso che si è svolto questa mattina a Mareno di Piave e che è stato dedicato al tema “Il lavoro degno: dimensione irrinunciabile della vita sociale”.
“Il lavoro interessa direttamente i pensionati – ha detto nel suo intervento il segretario generale territoriale della Federazione dei Pensionati cislina Franco Marcuzzo – non solo perché riguarda i nostri figli e nipoti, ed è quindi nostro dovere occuparcene, ma anche perché da anni portiamo avanti una battaglia per il riconoscimento del lavoro di cura, quasi sempre svolto da caregiver familiari, quasi sempre donne, che dopo aver dedicato la propria vita alla cura e al benessere dei propri cari, si ritrovano con pensioni da fame, perché in Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, questa figura non è giuridicamente riconosciuta, né in alcun modo tutelata. Siamo convinti che una società possa considerarsi solidale solo quando tutte le sue componenti, a partire da quelle più deboli, hanno pari diritti”.
Proprio da queste riflessioni si è mossa l’analisi di suor Francesca Fiorese, direttrice dell’ufficio per la Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Padova, suora-operaia della congregazione della Santa Casa di Nazareth. “La congregazione a cui appartengo – ha esordito suor Francesca – è nata nel 1900 per evangelizzare il mondo del lavoro sulla spinta di don Arcangelo Tadini, un prete che parlava delle giovani operaie delle filande come dei limoni spremuti perché violate nella loro dignità di donne e di lavoratrici”. “Papa Francesco – ha proseguito – dice che siamo in un tempo in cui abbiamo grandi strumenti ma pochi valori e ideali; ai giovani il Papa dice di ritessere la relazione intergenerazionale che è stata divaricata anche dalla pandemia: si devono trovare spazi anche al di fuori dell’ambito lavorativo dove ricostruire questa relazione tra le generazioni, oggi gli anziani devono consegnare il loro sogno ai giovani, chiamati a realizzarlo”. E non c’è progetto più compiuto di quello legato alla realizzazione professionale. “Il lavoro – ha spiegato Francesca Fiorese – è una dimensione irrinunciabile della vita sociale e nel lavoro è in gioco la domanda di senso, di bellezza, di felicità, che poi è la molla per vivere bene. È diritto e dovere poter lavorare bene, quindi con dignità”.
Non è mancata una considerazione sulla questione dell’ormai cronica denuncia da parte delle imprese – anche del territorio – delle difficoltà nel reperimento di risorse umane. “Il lavoro identifica chi sono – ha detto suor Francesca -, va valutato dal punto di vista economico e culturale ed è evidente che in questa fase storica abbia diminuito il suo valore. Il lavoro per l’azienda è un costo e per il lavoratore è fatica. La pandemia ha esasperato il senso della preziosità del tempo delle persone che scelgono se darlo o meno alle imprese. Il costo del lavoro a carico delle imprese è enorme e non più accettabile: il lavoratore ha uno stipendio basso – e un lavoratore insoddisfatto, pur nella legalità del contratto, non può lavorare bene – ma all’impresa costa il doppio”.
Sull’argomento è intervenuto anche il segretario generale della Cisl Belluno Treviso Massimiliano Paglini, al tavolo dei relatori. “Il lavoro c’è – ha detto – ma non è adeguatamente remunerato né consente un benessere lavorativo. Il mondo è cambiato e servono condizioni per garantire il buon lavoro: vanno applicati i contratti collettivi e uscire dalla logica dei bonus, che non servono per risolvere i problemi del Paese”.
Infine Tina Cupani, segretaria generale della Cisl Fnp del Veneto, che ha concentrato il suo intervento sulla questione della non autosufficienza. “In Veneto – ha sottolineato – gli anziani non autosufficienti sono più di 200mila; se teniamo conto che appena 30mila di loro sono in casa di riposo, immaginate il carico sulle famiglie rispetto alla cura, soprattutto sulle spalle della donna, che nel tempo ha dovuto anche rinunciare al proprio lavoro e che si è trovata ad avere poi una pensione ridotta. Ripensare la gestione della non autosufficienza non è più procrastinabile, anche e soprattutto alla luce del quadro demografico e sanitario”.