Dal 1° febbraio arriva a Venezia la tragedia greca tratta da La casa dei nomi di Tóibín nell’adattamento di Roberto Andò

 

Dopo il successo padovano, anche al Teatro Goldoni il sipario si alza sul mito classico. Dal 1° febbraio, alle ore 20.30, Isabella Ragonese porta in scena Clitennestra. A partire da La casa dei nomi di Colm Tóibín, torna una delle tragedie classiche più rappresentate di sempre, grazie all’adattamento di Roberto Andò, che ne cura anche la regia. Il mito classico della regina assassina e del vendicatore matricida diventa una tragedia di passioni e debolezze profondamente umane.

Clitennestra vive per vendicare la morte della figlia, Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone agli dèi. Ma la sua vendetta ne innesca un’altra, e a compierla su di lei sono i figli Elettra e Oreste. Lo spettacolo, prodotto da Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival, sarà in scena fino a domenica 4 febbraio.   

L’adattamento di Roberto Andò dello splendido testo di Colm Tóibín pone l’accento sugli aspetti profondamente umani della regina vendicatrice e assassina, interpretata dall’attrice palermitana. Assieme a lei, sul palcoscenico, Ivan Alovisio nel ruolo di Agamennone, Arianna Becheroni nei panni di Ifigenia, Denis Fasolo in quelli di Achille, Katia Gargano la donna anziana del popolo, Federico Lima Roque Egisto, Cristina Parku Cassandra e Anita Serafini Elettra. A costituire il coro saranno Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco.

Clitennestra è ancora la rancorosa regina del mito, ma è anche una donna alle prese con la gestione modernamente complessa del potere e con un amante, Egisto, su cui modulare desiderio e controllo. Tóibín, che in ogni suo libro dà voce ad una drammaturgia della sofferenza e della perdita, valorizza il silenzio che si crea attorno al dolore, alla vita di donne sole che portano con sé il peso di un trauma. Tóibín non dà giudizi, accoglie la potenza emotiva che scaturisce da questo personaggio e ne esplora le azioni confrontandole con le parole che adopera per far luce nel buio della sua interiorità danneggiata. Ne nasce un teatro di ombre, di voci, di fantasmi, che si muove dentro e fuori: dentro tra i labirinti della mente, fuori in un luogo senza tempo dove vivi e morti dialogano senza tregua.

Le scene e le luci sono di Gianni Carluccio, i costumi di Daniela Cernigliaro, le musiche e la direzione del coro di Pasquale Scialò, il suono di Hubert Westkemper e le coreografie di Luna Cenere.