A Treviso la produzione industriale cresce del +16,5% rispetto al secondo trimestre; a Belluno il rimbalzo è del +11,3%. Forti restano le polarizzazioni interne al comparto tra chi va bene e chi va male. Tutto è rimesso in discussione dai nuovi lockdown in tutta Europa

 

 

Dati e contesto in continua evoluzione: avvertenze di lettura

E’ bene fornire subito la seguente avvertenza alla lettura dei dati qui presentati. Sono dati ricavati dalla consueta indagine congiunturale sul manifatturiero in Veneto, curata da Unioncamere. Poggiano su un robusto campione di oltre 2.200 imprese cui fanno riferimento oltre 160.000 addetti (496 le imprese trevigiane intervistate, 80 quelle bellunesi). Ma, poiché fanno riferimento al periodo luglio-settembre 2020 e sono stati raccolti nel mese di ottobre, prima del forte riacutizzarsi della pandemia e prima della nuova serie di provvedimenti restrittivi adottati in Italia e in molti altri Paesi europei, ci restituiscono una fotografia che appare già superata dagli eventi. 

Infatti, il rimbalzo congiunturale di produzione e fatturato che i dati misurano – e che per la sua intensità tenta di compensare le cadute senza precedenti di questi indicatori registrate in primavera – potrebbe essere vanificato da possibili nuovi lockdown all’orizzonte (parziali o totali), o comunque da un ritorno ad una situazione di calo della domanda e discontinuità negli approvvigionamenti per effetto della nuova ondata di coronavirus. Già peraltro la fragilità sottostante il rimbalzo “meccanico” viene smascherata dall’andamento mensile della produzione industriale a livello nazionale, di fonte ISTAT, che per il mese di settembre evidenzia una flessione del -5,6% rispetto al mese di agosto, a causa in particolare dell’andamento della domanda per i beni di consumo.

Sono poi le previsioni rilasciate dagli imprenditori per il quarto trimestre, ispirate da un certo ottimismo, l’altro aspetto che purtroppo rischia di sciogliersi come neve al sole, a fronte di un’evoluzione sempre più imprevedibile della curva dei contagi in Europa come in Italia. Basti solo dire che poco dopo la raccolta di queste previsioni buona parte dei Paesi europei hanno adottato varie forme di lockdown che, per quanto parziali, hanno tuttavia già generato un impatto sia sulla domanda, sia sulla mobilità dei lavoratori: costringendo imprese a sospendere commesse e/o cantieri, con tutte le esposizioni finanziarie che ne conseguono. 

Aggiungiamo che, nel momento in cui stiamo chiudendo questo report, stanno entrando in vigore ulteriori misure restrittive per Veneto, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna: funzionali soprattutto ad evitare assembramenti sociali, ma che impattano ulteriormente sulle attività commerciali e sulle attività di somministrazione alimenti e bevande.

E’ quanto mai necessario tenere conto di questi mutati scenari, nella lettura dei dati che ora ci accingiamo a consegnare alla cronaca, e che semmai – nella loro positività congelata dalla fotografia statistica – possono essere considerati come un’ulteriore prova di tenuta e di reazione del sistema produttivo regionale e provinciale. 

Non è chiaro ancora se prevarrà, nelle prossime settimane, una linea morbida di lockdown, volta a circoscrivere le attività sociali e i settori economici da fermare (come finora è stato fatto), o se sarà necessario “chiudere tutto”. Indipendentemente da questo, la trasmissione della crisi potrebbe venire amplificata da altri canali rispetto al primo lockdown, come acutamente si osserva nella nota Ref. Congiuntura del 9 novembre scorso: “La nuova frenata si confronta difatti con un tessuto socio-economico già provato dalla conseguenze della prima ondata. Conta, più che nella prima fase, l’incertezza che si sta aprendo sulla lunghezza di questa crisi. I consumatori e le imprese potrebbero non avere percezione della possibilità di una via d’uscita definitiva in breve tempo – anche per le incertezze riguardanti l’avanzamento nella disponibilità di nuove cure o di un vaccino”.

Con questo stratificarsi di fattori (sanitari, sociali, economici e psicologici, cui si aggiunge il fattore tempo) aumenta la probabilità di uno scenario a “K”, piuttosto che a “V” o a “W”, anche quando giungerà l’agognato vaccino e si potrà tornare a parlare di ripresa. Lo scenario a “K”, infatti, evoca non più un rimbalzo delle attività economiche (netto, come stava accadendo, o ritardato) ma un punto irreversibile di disaccoppiamento tra settori/imprese “che ce la fanno” e settori/imprese che invece rischiano di uscire dal mercato. 

Prefigurare uno scenario non significa che quello scenario accadrà inevitabilmente. Richiama tuttavia i policy maker alla necessità di adottare misure e comportamenti funzionali ad evitarlo, o quanto meno in grado di minimizzarne gli effetti. Un difficile esercizio, in questi tempi inediti, di bilanciamento tra costi/opportunità nell’immediato e costi/opportunità nel futuro.

 

 

La dinamica congiunturale nelle province di Treviso e Belluno.

Dunque, i dati. Nel terzo trimestre la produzione industriale conosce a Treviso un rimbalzo del +16,5% rispetto al secondo trimestre, quasi speculare alla forte flessione accusata durante il lockdown di primavera, tra il secondo e il primo trimestre (-17,9%). La variazione su base annua si porta così ad un -0,8% (rispetto al terzo trimestre dello scorso anno), che evidenzia tutto lo sforzo che sta compiendo il sistema produttivo trevigiano per riportarsi ai livelli produttivi pre-Covid. Anche se tecnicamente i margini di recupero sono più ampi di quanto emerga dalla variazione tendenziale, perché bisogna anche considerare la crescita registrata nel quarto trimestre 2019.

Cambio di rotta anche superiore si registra per il fatturato, sempre con riferimento alle imprese trevigiane: la variazione congiunturale è del +20,7% (rispetto al trimestre precedente) sostenuta anche dalle vendite all’estero. Grazie al recupero di questa “domanda repressa” (ordini e commesse sospesi durante il lockdown di primavera) la variazione tendenziale su base annua si riporta così al -1,7%, mettendosi alle spalle, per ora, l’inaudita flessione del -24,0% registrata a giugno 2020 rispetto al giugno 2019.

Anche per il manifatturiero bellunese si registra un rimbalzo congiunturale, che tuttavia resta più sottotono, fortemente condizionato dal settore dell’occhialeria. La produzione conosce una variazione congiunturale del +11,3% rispetto al secondo trimestre. Si potrebbe considerare un rimbalzo di tutto rispetto, se non fosse che tra il secondo e il primo trimestre il medesimo indicatore aveva accusato una caduta del -24,8%. Di conseguenza, la variazione su base annua resta ampiamente in territorio negativo (-6,6%); e ci restano, per il manifatturiero bellunese, sia la variazione su base annua del fatturato (-6,3%), sia la variazione su base annua degli ordinativi dall’estero (-7,8%).

L’analisi (grafico 6) della distribuzione dei giudizi (di aumento, stazionarietà, flessione) per la produzione, incrociata per settori, permette di mettere meglio in evidenza la sfasatura dell’occhialeria rispetto all’andamento medio del comparto manifatturiero nei mesi estivi. I dati settoriali sono riferiti al campione regionale, per maggiore significatività statistica. Ma la quasi piena sovrapponibilità fra occhialeria e territorio bellunese non ha certo bisogno di spiegazioni. 

Succede dunque questo: nel complesso, il 59% delle imprese manifatturiere venete intervistate ha dichiarato la produzione in aumento nel terzo trimestre; un 30% ha invece accusato ancora flessione. Per l’occhialeria, invece, la distribuzione dei giudizi praticamente si rovescia: solo un 39% di imprese ha dichiarato produzione in aumento, a fronte di un 61% di imprese in flessione. La situazione si replica sia per il fatturato che per gli ordinativi interni; solo per gli ordinativi esteri la distribuzione dei giudizi si riallinea al dato medio del manifatturiero. Niente rimbalzo produttivo, dunque, per l’occhialeria, niente trasmissione di ordini lungo la filiera: solo qualche segnale diffuso di ripartenza della domanda internazionale di occhiali, pur con tutte le incertezze legate sia alla debole  dinamica tendenziale degli ordinativi esteri, sia  ora al riacutizzarsi della pandemia.

Questa analisi della distribuzione dei giudizi per i vari indicatori ci rivela altre cose interessanti. Il settore legno-arredo è stato quello più in grado di intercettare la fase estiva di rimbalzo, forse per simbiosi con il recupero dell’edilizia, soprattutto sotto il profilo della produzione e delle vendite: il 73% delle aziende del settore ha riportato aumenti di produzione, quota che sale addirittura al 78% per il fatturato. 

Sul fronte degli ordinativi esteri hanno riagganciato bene la domanda internazionale (o quanto meno in modo diffuso) i mezzi di trasporto (79% degli intervistati hanno dichiarato aumento degli ordini in tal senso), l’industria alimentare (62%), gli elettrodomestici (60%). Sembra invece più critico il riaggancio della domanda internazionale per il settore dei macchinari industriali, che risente (e probabilmente risentirà ancora) della scarsa propensione agli investimenti delle imprese propria delle fasi ad alto tasso di incertezza. Le risposte degli imprenditori si polarizzano ai due opposti della scala di giudizi, con percentuali simili: il 49% dichiara raccolta ordini dall’estero in aumento, il 41%, invece, dichiara una contrazione del portafoglio ordini dall’estero.

I temi che emergono da questi dati sono due, e meritano un attento monitoraggio, considerato anche il momento in cui sono stati raccolti. Già prima di essere nel pieno di questa seconda ondata pandemica, il comparto manifatturiero veneto sta conoscendo differenti velocità di recupero fra i vari settori, sulla base delle mutate condizioni della domanda. Covid, infatti, pare abbia già modificato in profondità alcuni modelli consolidati di consumo; e queste modifiche stanno trasferendosi lungo le filiere, rimodellando i piani di investimento delle imprese, spiazzando le catene di fornitura e di lavorazioni conto terzi (si pensi, solo per fare un esempio, alle conseguenze della mobilità ridotta non solo sul turismo ma anche sull’industria aereo-navale e sul suo indotto). Inoltre, come ben chiarificano i dati appena illustrati relativi ai macchinari industriali, stanno definendosi anche delle polarizzazioni interne ai singoli settori, in certi casi piuttosto marcate, che impongono di andare a guardare i comportamenti strategici delle singole aziende, la loro adattabilità ai mutati scenari, la loro capacità di tenuta finanziaria. 

Questi sono gli aspetti ci fanno cogliere plasticamente il rischio di uno scenario a “K” sopra prospettato. Ben più eloquenti degli illusori rimbalzi congiunturali o del dato di sintesi offerto dalle variazioni tendenziali. Di questi tempi, anche alle analisi sono chieste importanti discontinuità. “Ma per il momento siamo solo alla raccolta dei primi indizi, sulla base degli strumenti disponibili.” commentano dalla Camera di Commercio.