Uno pneumologo e un internista scambiano informazioni su un paziente all'esterno della sua stanza di degenza all'Ospedale dell'Angelo di Mestre
Uno pneumologo e un internista scambiano informazioni su un paziente all'esterno della sua stanza di degenza all'Ospedale dell'Angelo di Mestre

Generatori d’alto flusso d’ossigeno, caschi cPap, centraline di monitoraggio, ventilatori, pompe da infusione, altri letti di sub intensiva e nuovi letti in telemonitoraggio. In tre giorni il maxi reparto Covid dell’ospedale dell’Angelo non ha solo rimesso in piedi a pieno regime l’assetto anti virus della prima ondata, “ma in questa seconda, siamo ancora più attrezzati grazie al lavoro fatto dall’Azienda sanitaria sulla nuova dotazione” racconta il suo ritorno in prima linea il primario del reparto di Pneumologia mestrino Lucio Michieletto, che assieme al primario di Medicina interna Fabio Presotto è a capo dell’area Covid al secondo piano dell’Angelo. “Riarruolare il personale, fare i turni, riposizionare le attrezzature, metterne di nuove in tutte le stanze, rimodulare i carrelli: abbiamo lavorato senza sosta e nessuno, neanche in questa seconda fase, si è mai lamentato di una sola notte in più in corsia – dice Michieletto -, reduci da 50 mila ore di esposizione al virus”.

Il maxi reparto Covid dell’Angelo nasce lo scorso marzo per gestire i pazienti affetti da Coronavirus in area non intensiva, che non necessitano quindi di ricovero in rianimazione. Il secondo piano dell’ospedale mestrino era stato già allora riorganizzato per far fronte all’emergenza. Perno di quest’area Covid è il reparto di Pneumologia, che già aveva lì la sua collocazione originaria. Nell’era pre Covid, il piano poi destinato al trattamento di questa patologia comprendeva altri 5 reparti: Breast unit, Chirurgia plastica, Chirurgia toracica, Cardiochirurgia e Chirurgia vascolare. Dall’arrivo del virus in poi, in questo piano destinato per la seconda volta alla gestione dell’emergenza lo spazio è dato ai pazienti Covid, a servizio dei quali lavorano insieme soprattutto pneumologi e medici internisti, coordinandosi con le restanti specialità.

Le nuove attrezzature e i nuovi posti letto

Rispetto alla prima ondata, nell’area Covid dell’ospedale di Mestre i posti letto di terapia sub intensiva sono raddoppiati da 4 a 8, completamente attivati. A questi si aggiungono 20 letti di terapia ad alta intensità di cura. Sono 28 letti in più che vanno a sommarsi ai restanti, a normale intensità di cura, per un totale di 62 posti letto.

L’Ulss 3 ha potenziato anche la strumentazione a disposizione di pazienti e sanitari: gli impianti d’ossigeno, già potenziati nella prima diffusione, sono stati ulteriormente implementati; la dotazione completa dei generatori ad alto flusso d’ossigeno è passata da 4 a 20 unità, di cui le ultime 13 arrivate in questi giorni; il parco dei caschi d’ossigeno cPap è passato da 15 a più di 100, dei quali una sessantina sono arrivati la scorsa settimana; dagli 8 ventilatori della prima fase si è passati a 16; le pompe da infusione (i macchinari che permettono il rilascio graduale dei farmaci) sono passate da un’unità a letto a più unità per ogni letto; di letti in telemonitoraggio se ne sono recentemente attrezzati 23, le nuove centraline di monitoraggio arrivate in questi giorni permettono così di tenere sotto controllo i parametri del paziente Covid anche a distanza.

“La strumentazione che è arrivata e che sta continuando ad arrivare ci consente di stare sempre ‘vicini ai pazienti da lontano’, attraverso il monitoraggio continuo anche all’esterno della stanza di degenza – sostiene Presotto -. In un singolo schermo siamo in grado oggi di leggere a distanza tutti i parametri vitali dei pazienti sottoposti a monitoraggio”.

“La prima ondata ci ha fatto capire quanto sia importante avere un sistema sanitario dinamico, capace di rispondere e modificarsi in base alle emergenze e alle necessità che si presentano di volta in volta – spiega il direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima Giuseppe Dal Ben -. I reparti non devono essere statici, ma l’ampliamento e lo spostamento di posti letto e strumentazione li rendono capaci, come in questo caso, di essere ricettivi di fronte alla situazione critica”.

L’esposizione al virus dei sanitari

Nella prima ondata il personale del maxi reparto Covid è stato esposto al virus per oltre 50 mila ore cumulative. “E nonostante questo, un solo tampone positivo tra i sanitari si è riscontrato dallo scorso marzo. Questo perché la nostra squadra ha sempre lavorato con la testa – ricorda Michieletto -. La maggior parte delle volte non riconosco i nostri infermieri per quanto sono protetti e coperti dai dispositivi. E lavorando in queste condizioni, impensabili prima dell’epidemia, è complicatissimo anche solo andare al bagno”.

Attenzione, misure di prevenzione, dispositivi di protezione: “Eppure, seppur bardato da testa a piedi, basta un solo errore per vanificare tutto. Come il gesto automatico di sistemarsi gli occhiali o grattarsi il naso. Usi le misure di vestizione alla perfezione, ma quell’unico gesto umano ti può tradire. Ecco perché non abbassiamo mai la guardia”.

I pazienti della seconda ondata

Adesso i pazienti Covid in corsia sono 62. Il 30% di loro non soffre di particolari altre malattie. Nei primi giorni di questa seconda ondata ci è sembrato di avere a che fare con pazienti meno gravi – spiega Michieletto -, ma adesso cominciano ad arrivare casi più importanti come quelli della prima ondata. Stiamo quindi rivivendo quello che abbiamo vissuto mesi fa, ma con più consapevolezza. Tutti si muovono sapendo già cosa devono fare, con collaborazione, voglia di fare e orgoglio”.

Il know how acquisito

A supportare pneumologi e personale altamente qualificato per l’emergenza Covid, anche in questa seconda ondata dal reparto di Medicina interna sono scesi in campo 8 medici internisti, 6 dei quali si erano formati e qualificati lavorando nel corso della prima diffusione epidemica. “Rispetto alla scorsa primavera abbiamo acquisito un know how che non è solo di natura culturale – spiega Presotto -. Abbiamo imparato cosa fare e, soprattutto, cosa non fare. Usiamo molto meglio i farmaci, non solo impiegandoli in categorie ben identificate di pazienti, ma anche valutando con maggior precisione le loro dosi e la loro durata di somministrazione. Il risultato è quello di una maggiore appropriatezza prescrittiva e di minori effetti collaterali. Senza dimenticare la nuova competenza nell’utilizzo, da parte di noi medici internisti, dei dispositivi di respirazione, con i quali non avevamo grande familiarità rispetto ai colleghi pneumologi. A ciò si aggiunge l’uso dell’ecografia bed-side, direttamente a letto del malato, come strumento diagnostico di fondamentale valore informativo per il clinico. Anche questo ha determinato un ulteriore salto culturale e professionale per i miei collaboratori, che hanno saputo affrontare in tempi estremamente rapidi un cambiamento radicale, soprattutto in termini di riorganizzazione del reparto, con un altissimo grado di flessibilità e capacità di adattamento. Ma il vero segreto della crescita, anche nella gestione di questi pazienti, rimane sempre e comunque la multidisciplinarietà, cioè la stretta collaborazione tra tutte le figure specialistiche coinvolte (pneumologi, infettivologi, rianimatori e molti altri) con i quali ci si incontra quotidianamente”.

“In questa seconda ondata mi rendo conto in prima persona di quanto il personale sia più preparato ed esperto – spiega Michieletto -. Nella prima non sapevamo cosa attenderci. Adesso sappiamo, ad esempio, che se dobbiamo aspettarci un peggioramento delle condizioni cliniche del paziente affetto da Covid 19, questa avverrà presumibilmente entro i primi dieci giorni. Superati i primi dieci, è più difficile invece che la situazione precipiti”.