Costi energetici, materie prime, semilavorati zavorrano la ripresa. Alle imprese non manca la domanda, ma la produzione rallenta a causa delle difficoltà di approvvigionamento. Si allungano i tempi di consegna: nel 2019 l’orizzonte di produzione assicurato era mediamente attorno ai 50 giorni, oggi è salito attorno agli 80 giorni.

Il commento del Presidente Mario Pozza

A due anni dal diffondersi dell’epidemia Covid e a due mesi dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina, le prospettive di crescita a livello mondiale sono incerte – sottolinea Mario Pozza, presidente della Camera di Commercio di Treviso e Belluno|dolomiti – con l’interruzione della ripresa e del processo di aggiustamento dell’economia globale che aveva caratterizzato l’ultimo periodo del 2021. L’impennata dell’inflazione, per effetto dei rincari energetici, rischia di compromettere il potere d’acquisto dei consumatori.

Nonostante questa difficile situazione internazionale – prosegue Pozza – nei primi tre mesi del 2022 le imprese manifatturiere trevigiane riescono a mettere a segno una crescita della produzione industriale del +3,5% sul trimestre precedente (l’incremento era stato del +5,5% alla fine del 2021). Per le imprese bellunesi si parla addirittura di un +8,1%, ma come sempre questo dato risente di amplificazioni statistiche per la ridotta numerosità del campione di imprese bellunesi. Ma – Pozza smorza subito gli entusiasmi – i risultati in crescita sono sostenuti anche da due fattori: la positiva eredità del 2021 e un allungamento del tutto inedito del portafoglio ordini, a causa della difficoltà di approvvigionamento che impediscono alle imprese di rispettare i programmi di produzione.

La lunghezza del portafoglio ordini – spiega il Presidente – è forse l’indicatore che permette di capire meglio quale situazione paradossale stiano vivendo le imprese manifatturiere venete. Nel trimestre in esame l’indicatore (in Veneto, come a Treviso) è salito a 76 giorni di produzione assicurata (84 giorni a Belluno), dilatando di almeno un mese (in media) i tempi di evasione degli ordini rispetto al primo trimestre 2019 (51 giorni), che teniamo ancora come termine di confronto “ordinario”. E ci sono settori come i macchinari industriali e i mezzi di trasporto (inclusa componentistica per l’automotive) che vedono passare il loro tempo di evasione degli ordini dai circa 70 giorni del primo trimestre 2019, agli oltre 110 giorni attuali: oltre sei mesi di lavoro.

Il clima di fiducia positivo manifestato dalle imprese per il secondo trimestre 2022 è da leggere quindi con molta cautela – avverte Pozza – perché le previsioni fanno riferimento ad una scadenza temporale breve. La sensazione è che le spinte inflazionistiche abbiano ancora un impatto lieve sul sentiment degli imprenditori veneti e che la produzione stia ancora beneficiando della coda di ripresa post-Covid.  Le imprese di fatto hanno già in casa gli ordini, pur con tutte le differenze da settore a settore. Il problema, semmai, è riuscire ad evaderli, non solo per incassare, ma soprattutto per evitare che si deteriorano ulteriormente le condizioni operative (costi aziendali) rispetto ai contratti già stipulati.

Questa a nostro avviso – conclude il Presidente – è la chiave di lettura per contemplare questi giudizi previsivi, ma se proseguirà sciaguratamente la guerra entreremo in un territorio in cui ancora nessuno sa cosa potrà effettivamente succedere. Già nel breve inflazione e rincari energetici possono impattare sulla propensione ai consumi delle famiglie.

Il quadro internazionale e nazionale

Il primo trimestre 2022 ha portato all’economia mondiale ancora forti sollecitazioni. A gennaio (ma si vedeva già a dicembre) il riacutizzarsi della pandemia a causa delle varianti Omicron del Covid-19 ha comportato ulteriori misure di contrasto, differenziate in base alla progressione delle campagne vaccinali nei diversi Paesi.

A fine febbraio le tensioni cresciute nella seconda parte del 2021 sono culminate nell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con la conseguente crisi umanitaria e l’accentuarsi delle problematiche legate ai mercati dell’energia soprattutto in Europa.

A marzo sono poi emersi nuovi problemi nel funzionamento delle catene di approvvigionamento: da un lato il conflitto russo-ucraino ha portato a carenze nella disponibilità di materie prime e semilavorati provenienti da quell’area, con correlati rincari dei prezzi; ma un’ulteriore riduzione dell’offerta di input è stata provocata anche dall’ultima ondata di Covid che ha colpito la Cina. Conferme di questa dinamica ci vengono date dal Baltic Dry Index, che misura il prezzo dei noli marittimi, e che di recente è risalito ad oltre 3000 punti, non succedeva da novembre 2021.

Non sorprende, pertanto, che le stime del Fondo Monetario internazionale (World Economic Outlook di aprile) siano state riviste al ribasso rispetto alla previsione di gennaio: per il PIL globale viene stimata una crescita del +3,6% (era del +4,4% a gennaio); nell’Eurozona si passa dal +3,9% al +2,8%; resta invece sostanzialmente stabile la stima per gli Stati Uniti (+3,7%) a conferma di come le conseguenze della guerra possano essere decisamente asimmetriche: resta elevata per questo Paese l’incognita inflazione, oggi al 8,3%.  I Paesi europei che hanno visto ridursi maggiormente le loro stime relative al PIL sono Germania ed Italia, ora posizionate su tassi di crescita previsti, rispettivamente, al +2,1% e al +2,3%. Entrambe sono nazioni dove il manifatturiero ha forte rilevanza, e alta è la dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia, con l’economia tedesca pesantemente influenzata dalla crisi del settore automobilistico, legata anche ai problemi di approvvigionamento dei microchip.