Negramaro: “La rivoluzione siamo noi”

“La rivoluzione sta arrivando”, siete pronti? Il titolo del nuovo disco dei Negramaro non riserva alcun messaggio politico. La band risponde molto chiaramente alla provocazione. «Questa parola non deve far paura: la “rivoluzione” è qualcosa di positivo, un cambiamento che ogni essere umano può e deve compiere».

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Forse l’album più intimo e vicino al loro cuore “La rivoluzione sta arrivando”. Il nuovo disco, che è stato registrato tra Milano, Madrid, Nashville e New York, a detta di Giuliano Sangiorgi, il frontman del gruppo, è un elogio delle “piccole rivoluzioni che ognuno di noi può fare ogni giorno”. L’album annovera il pezzo “Lo sai da qui”, scritto da Sangiorgi tre anni fa, dopo la morte del padre.

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Il disco rimette al centro delle cose l’Uomo, per ristabilire un contatto diretto e concreto con le risposte che deve darsi a ogni domanda. Morte, Vita e Ironia sono le tre parole chiave che accompagnano non solo la produzione dei testi (Giuliano Sangiorgi) ma anche l’idea della copertina (Ermanno Carlà): un teschio ispirato alle bandiere dei pirati, un ghigno tra il malvagio e il divertito che vuole esorcizzare le paure e dare un messaggio positivo a più persone possibili.

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L’ultima fatica dei sei salentini nasce proprio dall’esigenza di rivedere i dolori della vita (primo tra tutti il lutto per il padre di Giuliano) in una chiave nuova, epifanica: il “nero” è soltanto una sfumatura dello spettro cromatico, ma non è un macigno che schiaccia il resto, non è una voragine che fa scomparire tutto. Dai momenti di difficoltà si può imparare, continuando a danzare, a sorridere. Il titolo del nuovo album, “La rivoluzione sta arrivando”, può sembrare a prima vista esagerato o presuntuoso, ma in realtà, secondo le stesse parole di Giuliano Sangiorgi, allude a “piccole rivoluzioni e mette l’uomo e la vita al centro di tutto, ricercando anche un sound diretto, quasi vintage”.

Giuliano quando hai capito che c’era una svolta musicale nella tua vita?

«La prima sliding door della mia vita? Un manico di scopa e una manciata di elastici per simulare le corde di una chitarra. Avevo otto anni e suonavo Smoke on the water dei Deep Purple. Appena mio padre ascoltò la cassetta che avevo registrato uscì di casa e si precipitò a comprare una chitarra con custodia morbida e metodo didattico: 80 mila lire. Con le sue antenne aveva intercettato il fuoco che avevo dentro e mi ha iniziato alla musica. Se non avesse fatto quel gesto, oggi sarebbe tutto diverso. Magari l’amore fulminante per le canzoni si sarebbe affievolito e sarei diventato un avvocato. Ma il destino aveva altri piani».

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Un ritorno alla magia del palco, ma anche l’eredità delle immagini indelebili della strage al Bataclan di Parigi.

«Eravamo in tour, ma per fortuna la sera successiva al Bataclan non avevamo un concerto in programma. Non sarei stato in grado di cantare, non riuscivo a reagire.  Quelle immagini erano troppo vicine al nostro immaginario reale. Ho pensato a tutti quelli che lavorano per noi. Poi, superato lo choc, ho visto la fotografia nel suo insieme. E ho pensato alla vita quotidiana delle famiglie di musulmani che nulla c’entrano con il terrorismo. Mia madre è un’insegnante e certe intolleranze nelle aule scolastiche le respira ogni giorno».

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Secondo voi hanno ancora senso categorie come destra e sinistra, oppure in un’era liquida e di antipolitica quei termini sono solo suggestioni?

A rispondere stavolta è Emanuele Spedicato, chitarrista della band. «Un errore tragico: bisogna desiderare di appartenere a un’ideologia, quale che essa sia. Destra e sinistra sono due impronte filosofiche, due stili di vita, due progetti di società. Non ci può essere confusione. Non si può essere leggeri a tutti i costi. L’alternativa a capire, a scegliere dove stare, è arrendersi alla logica deprimente  e grezza del tanto è tutto un magna magna Il qualunquismo spinge verso il vuoto. Bisogna fuggire dagli slogan e dalle semplificazioni: la rivoluzione siamo noi con i nostri piccoli gesti e pensieri quotidiani».

Le unioni civili hanno diviso il Paese e la politica. Che posizione avete?

«Le consideriamo un diritto dell’uomo. L’umanità non ha sesso: è una questione che prescinde dagli orientamenti, dal piacere e dall’emotività del momento».

Cantante tuo malgrado: nella sua storia c’è anche questo. 

«Vero. All’inizio io scrivevo canzoni per i ragazzi del gruppo e gliele portavo in cantina. Per molto tempo ho anche suggerito dei cantanti che secondo me avevano i numeri. Peccato che non andasse mai bene nessuno. Non per incapacità: il vero motivo è che volevano proprio me per dar voce alla loro musica. Dopo 15 anni l’atmosfera che circonda i Negramaro è ancora quella di una comune di musicisti allenata a vivere e a scrivere insieme. Tutto quello che abbiamo inciso è frutto di un vissuto comune. Per anni abbiamo condiviso lo stesso casolare a Parma. Ricordo ancora Michele Placido che cucinava mentre noi in salotto registravamo i brani per la colonna sonora del suo film Vallanzasca – Gli angeli del male. Oggi trascorriamo mesi in una masseria in Puglia per preparare i dischi. Lì nasce tutto, comprese le idee più pazze, come registrare le chitarre in una vasca da bagno per catturare un certo suono oppure far suonare un timpano al batterista immerso in piscina per catturare le vibrazioni del riverbero dell’acqua».

Che cosa determina oggi la longevità di una carriera? Gli artisti e le band meteora sono ormai una costante del mercato discografico.

«Il committente più importante per un gruppo è l’epoca, lo spirito del presente.  Possono prescindere dalla sintonia con la contemporaneità solo i geni assoluti,  che sono sempre troppo avanti, oppure quelli destinati a non funzionare mai. In Italia, per un gruppo, c’è una regola non scritta, ovvero cambiare poco alla volta: se stravolgi tutto, perdi tutto. Un solista può permettersi di essere molto più versatile. Noi abbiamo un buon equilibrio perché siamo in sei con altrettante famiglie che valutano le canzoni. Siamo così tanti da essere un campione rappresentativo del pubblico».

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Da Adriano Celentano e Patty Pravo per le zie allo scrivere canzoni per loro. Che effetto vi fa?

«Quando svanisce l’incredulità, è una sensazione bellissima. Sentire le proprie canzoni interpretate da quelle voci è come guardarsi allo specchio e scoprirsi piacevolmente diversi. Questa vita mi ha riservato sorprese meravigliose, tipo ricevere una telefonata di Mina alle tre del mattino mentre ero in autostrada: voleva coinvolgermi in un progetto di remake dei suoi brani. Superata l’emozione, mi ha impressionato il fatto che mi parlasse con una voce senza tempo. Mi sembrava di essere al telefono con una ragazza. Sulle sue corde vocali non c’è nemmeno una ruga».

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Voi amate tantissimo il Veneto. Ci tornate appena potete.

Stavolta scherza Ermanno Carlà, il bassista. «Ci veniamo per il prosecco. Dopo il vino delle nostre terre il brindisi con un buon prosecchino ci sta sempre».

In Veneto, poi, un’emozione unica per te cantando “Lo sai da qui”

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«Davvero. Il silenzio fatto di migliaia di silenzi unici e irripetibili come quasi fosse stato deciso prima, come se tutti gli spettatori fossero stati d’accordo nello stesso istante nel non emettere un suono, per lasciarmi solo con quell’emozione indescrivibile…quel silenzio mi ha fatto esplodere i sensi. Ho sentito uno ad uno respirare le persone vicine a noi, ho sentito il mio respiro tra una parola e l’altra, avendo quasi paura di rovinare quella magia che tutti avevano generato lasciandomi in una bolla d’aria e creando un ponte infinito tra me e mio padre. Mille boati di uno stadio non si avvicineranno mai a quello che i nostri fan mi hanno regalato: un silenzio che ha cantato più forte di mille cori d’angelo. Grazie a tutti. La “Rivoluzione” è ancora in giro. Tra classici e le 12 canzoni dell’ultimo lavoro non c’è tempo per annoiarsi; solo per restare estasiati da una delle più belle voci maschili del panorama italiano e da una grafica che coinvolge lo spettatore e lo proietta dentro un mondo dove “Le case aprono le gambe agli sconosciuti e le chiese sono bocche di donne con i fucili appesi o le fabbriche sono vecchi indiani che fanno segni”, dove i Negramaro “proteggono i loro fan in ogni istante ad ogni costo anche dovessero fare a pezzi un drago, il mondo e tutto il resto” perché, in fin dei conti, tutti noi siamo “la fine di ogni limite che superiamo”.

Gian Nicola Pittalis

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