Affondava le sue radici storiche direttamente nella gloriosa Repubblica Serenissima, costituiva quasi un unicum normativo nazionale e, almeno nelle sue prime forme embrionali, ha accompagnato la città d’acqua per più tempo del ponte di Rialto, che ai suoi piedi ne ha poi a lungo ospitato gli uffici, eppure neanche la sua esistenza centenaria è bastata a salvarlo dalla bufera che si è abbattuta sulla laguna a giugno di due anni fa, quando le forze dell’ordine indagando sui finanziamenti dietro al Mose hanno fatto scattare le manette ai polsi dell’allora sindaco Giorgio Orsoni e dell’ex governatore veneto Giancarlo Galan, tra gli altri; fu allora, infatti, che l’esecutivo di Matteo Renzi, visti i coinvolgimenti nella fosca vicenda, decise di cancellare dalle pagine della cronaca e consegnare definitivamente a quelle delle Storia il secolare Magistrato alle Acque di Venezia, affidando formalmente le sue competenze e funzioni all’ufficio 4 “Salvaguardia di Venezia del Magistrato alle Acque – Opere marittime per il Veneto” del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia del ministero delle Infrastrutture.
Cinquecento anni dopo la sua ideazione, l’ente di gestione del sistema idraulico triveneto ha insomma svuotato i suoi archivi, ripulito i cassetti e liberato gli uffici di palazzo dei Dieci Savi, cedendo all’ufficio interregionale le potestà.
Di fatto, però, quando la polvere sollevata a giugno 2014 dagli anfibi della polizia giudiziaria è tornata a posarsi sui pavimenti consumati di San Polo, poco era cambiato: dal 2013, infatti, a dirigere l’operato del Mav era l’ingegner Roberto Daniele, già provveditore per il Piemonte e la Val d’Aosta, uscito totalmente indenne dallo scandalo di due anni fa (non è andata altrettanto bene a due suoi predecessori: Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, finiti nel mirino delle autorità) e rimasto quindi al comando dell’ente, stavolta in quanto provveditore triveneto.
Le novità si sono cominciate a intravedere all’orizzonte solo a febbraio 2016: per effetto della legge Madia sulla pubblica amministrazione, approvata appena un’estate fa, infatti, qualcuno ha cominciato a ipotizzare un azzeramento dei contratti e un rientro di Daniele a Roma, così, mentre per sostituire l’ingegnere si cominciavano a fare i nomi di Giuseppe D’Addato, Francesco Errichiello e Donato Carlea, per riassegnare le competenze si guardava alla riforma della legge speciale, depositata in Senato e auspicata dallo stesso sindaco Luigi Brugnaro.
Prima che il messe volgesse al termine proprio il primo cittadino veneziano ha incontrato la stampa e spiegato che, come da emendamento a firma Andrea Martella sulla legge 114/2014, a raccogliere il testimone dell’ente dismesso sarà la nuova Città Metropolitana, che diventerà quindi responsabile “della salvaguardia e del risanamento della città di Venezia e dell’ambiente lagunare, della polizia lagunare e dell’organizzazione della vigilanza lagunare, nonché della tutela dall’inquinamento delle acque” (in un simile quadro si prevedeva poi di lasciare al Provveditorato la riscossione delle concessioni demaniali su posti barca e pesca, mentre gestione e manutenzione del Mose restavano in sospeso tra l’ipotesi statale e quella di una apposita struttura); “Manca solo il decreto attuativo”, chioserà Brugnaro direttamente dalle pagine del sito ufficiale di Ca’ Farsetti. A due mesi di distanza, però, sarà Felice Casson a tornare sulla questione, scrivendo al ministro Graziano Del Rio per denunciare un “immobilismo decisionale” che lasciava la laguna nel limbo della paralisi burocratica e per chiedere un nuovo incontro con il sindaco.
Giacomo Costa