Cronenberg lascia da parte la regia per darsi alla letteratura, almeno per il momento, e firma il suo primo romanzo. Non che il cineasta canadese fosse avulso alla carta stampata, vista la mole di sceneggiature e soggetti realizzati. In tempi non sospetti Cronenberg aveva citato come modelli William S. Burroughs e Vladimir Nabokov e Divorati sembra il perfetto mix dei due, visionario, conturbante, inquietante. I personaggi e le storie di Cronenberg sono estremi e provocatori, del tutto spontaneamente avulsi alla comune morale, arrivano ai margini dell’umano e oltre, fino ai territori poco esplorati del post-umano guidati da un intelletto che percorre percorsi poco battuti. È impossibile riassumere questo romanzo nell’arco di poche righe, riduttivo esporre la sinossi, forse l’unica cosa che si può fare è avvertire di evitare la lettura se si cercano storie facili, se non si è pronti a mettere la propria morale in discussione, se si è facilmente impressionabili (non è assolutamente un horror!). Si deve leggere invece se si ama o apprezza il cinema di Cronenberg (ovviamente…), se si cercano storie scritte non solo sulle righe ma anche tra le righe e soprattutto se si ama una certa psichedelia scura. Se fosse un quadro, Divorati, sarebbe come il Trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, e se il paragone piace, allora è veramente il caso di leggerlo. n.c.