Non tutto quello che si mangia serve a nutrirsi: si ingurgita cibo, ad esempio, per dimenticare, per noia, per allontanare lo stress o per tirarsi su il morale. Placare la fame emotiva può essere molto complicato, proprio perché il senso di sazietà non è determinante.
In tal caso, infatti, si può continuare a sgranocchiare di continuo senza nemmeno badare al sapore del cibo, perché quello che conta è masticare.

Fame emotiva: da cosa dipende

Tra malumore, malessere e fame c’è un rapporto molto intimo: essere affamati, infatti, rende nervosi ed essere nervosi rende affamati. Dando vita ad un circolo vizioso. Tuttavia, distinguere le due sensazioni di fatto è necessario per capire ciò di cui si ha veramente bisogno dal superfluo. Per tenere a bada la fame emotiva, infatti, si devono riconoscere le proprie emozioni, separandole dalle sensazioni fisiche.
Tutto questo è stato oggetto di uno studio italiano focalizzato sulle abbuffate da stress pubblicato l’anno scorso sulla rivista Appetite. Secondo gli studiosi, questi attacchi di fame emotiva possono essere favoriti da alti livelli di ansia e depressione e dal peggioramento della qualità della vita e delle relazioni sociali, mentre le abbuffate in piena regola sono perlopiù una reazione agli alti livelli di stress.
Inoltre, dalla ricerca è emerso anche come le persone con alti livelli di alessitimia (cioè in grave difficoltà se devono riconoscere le emozioni) risultino più vulnerabili nei confronti della fame emotiva.

L’importanza di un supporto qualificato

Un primo strumento utile è il diario alimentare, che aiuta ad appuntarsi pasti e spuntini riflettendo sulle sensazioni e sulle circostanze che li hanno accompagnati.
Tuttavia, quando ci si accorge di avere un problema è sempre importante rivolgersi a uno specialista. Una figurata qualificata, infatti, può aiutare la persona a decifrare con più chiarezza i propri stati d’animo, offrendo il sostegno necessario ad affrontare le cause recondite degli attacchi di fame.