Negli ultimi tempi aumentano i casi di medici sospesi o radiati dall’albo di riferimento. L’ultimo caso risale a poche settimane fa, a Firenze uno psicologo è stato radiato dall’albo, a caratteri cubitali nei titoli delle testate locali si legge “seguace di Hamer”.
Nel 2015 una dottoressa sarda a seguito di un servizio televisivo, è stata radiata dall’albo.
Nel 2012 un medico della provincia di Padova è stato radiato e condannato dal Tribunale Patavino per omicidio colposo.
Tre casi diversi tra loro, ma gettati dai media su uno stesso calderone, la medicina alternativa, ma siamo proprio sicuri che l’informazione arrivata a spettatori e lettori sia stata sempre corretta? Questi sono alcuni esempi che non stiamo difendendo e non stiamo accusando. Se proprio vogliamo schierarci ci schieriamo per una corretta informazione.
Quando si tratta un tema tanto sensibile e delicato come la salute, si fa presto a far notizia e l’etica professionale di noi giornalisti non dovrebbe mai superare determinati confini segnati dal rispetto, rispetto per le vite che non ci sono più, rispetto per i loro famigliari, rispetto per dei professionisti che non difendiamo a prescindere (ogni caso è a sé e ognuno di noi è libero di averne un’opinione) ma che non possiamo prenderci il diritto di giudicare. Se un professionista del settore della medicina svolge la sua attività minando la salute dei suoi pazienti è giusto che paghi, ma la decisione e il conseguente giudizio deve spettare alla commissione competente. Non sono i media che devono stabilire se è un buon o cattivo medico, non sono i media che lo possono definire seguace di chicchessia, non sono i media che devono riproporre sue considerazioni senza averlo neppure mai incontrato.
E non si può fare di tutta l’erba un fascio, non tutto ciò che non è medicina ufficiale è per forza alternativa, esiste anche la medicina complementare che non vuole sostituirsi a nessuna terapia, che ha lo stesso fine della medicina ufficiale: la salute del paziente.