“L’erba che soto i sassi/ dentro al cemento/ pianta raise/ che da color a la note/ al fredo/ a la paura….”. L’erba che pianta radici nel cemento, che dà colore alla notte, al freddo, alla paura. Alle 17,30 del 26 settembre 2015, all’ora esatta del disastro, Gualtiero Bertelli intona la sua canzone “Erba Mata”.  Dopo il dolore c’è la speranza: l’erba matta è pronta “ a morire e a rinasser in un momento”. Così sarà per la Riviera del Brenta.

Quella che Goethe chiamava “la più bella passeggiata d’Europa”, a distanza di tre secoli è ancora una delle zone turistiche più conosciute e più apprezzate d’Italia ed è diventata in cinquant’anni una delle aree che hanno registrato la crescita maggiore e il più alto tasso d’occupazione. Una  zona che in piena crisi economica ha incominciato a pensare di disegnare lo sviluppo del domani, a incominciare dall’enorme risorsa del turismo. È come una grande città allungata da Stra a Mira con le sue sette frazioni, i campanili sono le costruzioni più alte. Una sola via d’acqua  da Padova a Venezia. Succede tutto alle 17,30 di mercoledì 8 luglio e nel raggio di centinaia di metri non lascia niente in piedi. La storica Villa Fini che aveva resistito ai secoli è sciolta in un castello di polvere. Un uomo muore dentro l’auto sollevata dal vento e scaraventata in un vivaio. Si contano anche 72 feriti. I tecnici stabiliscono che si è trattato della tromba d’aria più violenta della storia del Veneto, con raffiche di vento fino a 320 chilometri orari. Non il tornado più forte, quello no: ce n’era stato uno a Selva di Montello nel luglio 1930, vento a 500 chilometri orari, 23 vittime. Era stato classificato F5, il più potente mai registrato in Europa. E c’era stato il tornado dell’11 settembre 1970 che era sceso dai Colli Euganei ed era andato a morire portando distruzione oltre alla pianura, fino al bacino di San Marco. Quel pomeriggio di luglio di un anno fa la Riviera del Brenta si scopre indifesa e fragilissima, dall’alto il panorama è quello della devastazione e, oggi, dopo un anno, quattro sindaci hanno voluto fa sentire la propria voce

 

Alvise Maniero, sindaco di Mira

«Non sono eventi che si dimenticano». Sono le prime parole di Alvise Maniero, sindaco di Mira che racconta la forza dei suoi cittadini ad un anno dal disastro. «Dal primo momento ci siamo accorti che qualcosa non andava. Io ero in parrocchia a fare pulizia con gli scout. Poi il cellulare ha suonato ed è scattato l’allarme. Siamo subito corsi sul luogo, a piedi perché le strade non erano trafficabile, tranne un ultimo tratto in cui una gentile signora mi ha dato un passaggio perché mancavano meno di 500 metri al luogo più colpito». La popolazione era già attiva nel raccogliere le macerie. «Tranne chi era in stato confusionale – continua Maniero – tutti erano già all’opera. Abbiamo chiamato subito la Protezione civile e i Carabinieri che hanno anche salvato un uomo bloccato da una trave. Siamo andati casa per casa per chiedere se c’era bisogno di dare alloggio (magari usando anche scuole o palestre. Tutti però non hanno chiesto aiuto al comune ma preferito andare da amici e parenti». Una gara di solidarietà e nessuna ronda notturna per ridurre al minimo la soglia di panico e paura che già si era venuta a creare. «I cittadini più anziani – ricorda Maniero – parlavano di 2 tornado e non riuscivamo a capire a cosa facevano riferimento. Solo dopo ho saputo che non erano sotto shock, ma parlavano del tornado che colpì Giare 35 anni e arrivò fino a Venezia. Un destino beffardo che nel 1970 e nel 2015 aveva portavo via le loro case. Poi fino tarda notte nella zona industriale e artigianale e tutti che già lavoravano e prendevano ordini coi fornitori. Dal giorno dopo è iniziata la gara a chi poteva aiutare di più. Fatto il punto della situazione, abbiamo chiesto aiuto alla Protezione civile per gestire i numerosi gruppi di volontari disposti a dare una mano per controllare le operazioni». Liberare giardini e case private dove la Protezione Civile  non poteva intervenire è stato il compito dei cittadini che hanno visto arrivare dai comuni limitrofi  centinaia di volontari della Riviera del brenta. «Abbiamo anche prestato le forze e squadre a tutti, sono arrivati persino degli specialisti in tetti da Albignasego. Tutto era coordinato. Un’immagine bellissima che ricordo ancora è quella di un signore anziano in mezzo a un fiume di ragazzi in lacrime che, in dialetto, diceva di non sapere chi erano ma che lo stavano salvando. Forse ci sottovalutiamo ma siamo un grande popolo».

Andrea Martellato, sindaco di Fiesso d’Artico

«Il nostro Comune non è stato toccato dal disastro del tornado – esordisce il sindaco di Fiesso d’Artico Andrea Martellato – ma nonostante la protezione civile di Dolo e quella di Pianiga avessero puntualizzato che di volontari non ce n’era bisogno per gestire la fase acuta dell’emergenza, non solo la protezione civile di Fiesso D’Artico intervenne in tempo zero, ma molti altri cittadini fiessesi hanno dimostrato altruismo e coraggio rimboccandosi le maniche per liberare dai detriti case, strade e campi “a loro rischio e pericolo” e hanno raggiunto tutta la Riviera del Brenta armati soprattutto di buona volontà. C’era un territorio intero in ginocchio, con danni di decine e decine di milioni di euro. C’è chi aveva pale e guanti, e chi non aveva nulla. C’era uno strumento in più, però, che contribuiva non poco a dirottare le forze dove effettivamente servono: lo spirito di appartenenza a un territorio che i fiessesi sentono moltissimo. In pochi secondi i miei concittadini sapevano già dove andare,  dove i volontari “indipendenti” stanno lavorando e dove servivano braccia da regalare alla causa. Così è stato per settimane. C’è chi era in mezzo ai campi ad asportare detriti, chi in via Melloni, altri in via Carrezzioi, altri in via Fratelli Bandiera. Tante, tantissime braccia fiessesi. Hanno asportato macerie che sembravano non finire mai affianco della protezione civile e di tantissimi cittadini di altri comuni che in quel momento (ma ancora oggi) erano fratelli nella tragedia.  C’è stato chi ha offerto la propria auto che non usava da un anno e chi “coppi”, letti, vestiti, generi alimentari. Un esercito di angeli delle macerie che si è rivelato una truppa ordinata e non un’armata Brancaleone. Lodo i miei concittadini perché in quei giorni tragici per tutti non si sono sentiti solo fiessesi ma cittadini e fratelli della Riviera del Brenta e se oggi parliamo di rilancio di tutto il territorio è merito di tutti: da Mira a Stra, perché questa è la nostra terra e perché questo è lo spirito di chi vive ogni giorno la Riviera del Brenta».

 

Massimo Calzavara, sindaco di Pianiga

Un anno è passato da quando il “Tornado F4” ha devastato il nostro territorio e dopo un anno i suoi effetti si fanno ancora sentire. Lo scenario che si presentò davanti ai cittadini colpiti ed ai primi soccorritori era uno scenario apocalittico, di guerra e devastazione, con crolli, tetti divelti e detriti piantati sui muri e sulle persiane delle finestre perché sparati dal tornado come proiettili. Immediatamente i cittadini di Cazzago – che da sola ha contato ben 800 edifici danneggiati -dimostravano tutto il loro orgoglio e la voglia di ritornare alla normalità aiutandosi l’un l’altro e cominciando fin da subito a rimboccarsi le maniche. Il 9 Luglio e nei giorni immediatamente successivi Cazzago era un cantiere aperto che brulicava di persone di tutte le età e dalla provenienza più diversa, accomunate tutte dalla voglia di aiutare chi era stato più sfortunato di loro a ritornare alla normalità. Ora, al di là delle varie polemiche e speculazioni, anche politiche, che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, la realtà dei fatti è che per questa amministrazione Cazzago è sempre stata e sempre rimarrà la priorità, almeno finché non sarà eseguito il ripristino dei luoghi e chi di dovere, ovvero lo Stato, avrà fatto quanto a mio avviso gli compete: ovvero risarcire i cittadini che pagano le tasse e che hanno tutto il diritto di essere ristorati dei danni incolpevolmente subiti dal tornado. Voglio lasciare in questa intervista un segnale di speranza che mi viene dalla constatazione del valore con cui una intera comunità e i tanti volontari si sono prodigati e sacrificati per alleviare le pene dei cittadini colpiti l’8 luglio scorso: è emersa la parte migliore della nostra comunità! E… lasciatemelo dire, emerge anche una punta d’orgoglio per la mia Amministrazione che nella difficoltà ha dimostrato che le scelte fatte negli ultimi anni, in termini di risorse umane e tecnologiche, hanno pagato e dato i loro frutti. Riconosco e mi rincuora nel mio difficile ruolo, la pazienza e la civiltà dimostrate nel momento della tragedia, qualità che contraddistinguono e caratterizzano una comunità salda, coesa e sempre disponibile all’aiuto reciproco. Vi ringrazio tutti di cuore!

 

Alberto Polo, sindaco di Dolo

Il sindaco di Dolo, Alberto Polo, ha voluto ricordare gli eventi di un anno fa ringraziando i 263 volontari, appartenenti a 34 gruppi della Protezione civile che subito si sono allertati per far fronte alla tragedia. «In poco tempo – dice – abbiamo aperto la sala operativa della Protezione Civile a Sanbruson di Dolo per le consegne di materiali di consumo e l’impegno della protezione Civile ed è stato straordinario e ha dimostrato una eccellente capacità di reazione in condizioni di estrema difficoltà. A loro va il ringraziamento di tutta l’amministrazione comunale. Durante quella tragedia un ruolo determinante è stato svolto dalle migliaia di persone silenziose che, in modo spontaneo, hanno aiutato i nostri concittadini: vorrei poterle ringraziare personalmente una ad una; è stato come se la città di Dolo si fosse lasciata stringere in un abbraccio di tutti questi vecchi e nuovi amici». Ed è stato proprio Dolo (uno dei comuni più colpiti) a dare un grande esempio. Lo ha fatto un cittadino (Scaldaferro) che ha rilanciato il suo ristorante e gelateria. Tanto che il Torronificio sta ampliando la zona dell’ex Alla Posta e adesso ospiterà anche camere per turisti. I fatti risalgono a marzo 2016. Il tornado non ha fermato l’imprenditoria della Riviera del Brenta. Dalle macerie è nata la voglia di dare nuovo impulso all’attività. Proprio Pietro Scaldaferro è orgoglioso. «Dopo una gestione esterna pessima dell’ex ristorante alla Posta, abbiamo deciso d’ora in poi di tenerci per noi quell’edificio. Il 2 aprile è stata aperta una gelateria artigianale con una produzione propria. Questa prima apertura in un’area che era stata colpita dal tornado dello scorso 8 luglio è un segno concreto della grande voglia di ripartire e fare impresa per valorizzare il nostro territorio».

Gian Nicola Pittalis

Alberto Polo Sindaco di Dolo Alvise Maniero Sindaco di Mira Massimo Calzavara Sindaco di Pianiga