Il terrorismo fa leva su meccanismi profondamente radicati nella psiche umana. Attaccando luoghi o gruppi rappresentativi, in momenti chiave della vita sociale o in occasioni di massima visibilità, l’attentato diffonde un sentimento diffuso di insicurezza, di paura, di tensione. In una sola parola, il terrore.
Difendersi dal terrore non è semplice, anche perché il terrorismo utilizza modalità di provata efficacia e di straordinaria penetrazione nel tessuto sociale.
Tuttavia, la prima e probabilmente la più forte linea di difesa può essere quella della razionalità. Eliminando o tenendo sotto
controllo la componente emotiva legata all’orrore per la brutalità dell’attentato e alla paura di poter essere il prossimo bersaglio – sintomo di umana empatia e immedesimazione – si può osservare con maggiore lucidità l’effettiva portata della minaccia. In effetti, le probabilità di essere coinvolti in un’azione terroristica sono bassissime, di gran lunga inferiori non soltanto agli incidenti stradali ma anche a diverse infezioni ignote ai più e certamente non temute nel corso della vita quotidiana.

Certamente quest’operazione non è semplice.
Ad esempio, durante gli attentati di Parigi, pochi avranno pensato che le persone direttamente coinvolte sono state pochissime
rispetto alla popolazione della capitale francese. Ma è proprio questo che vogliono i terroristi: canalizzare l’attenzione sul loro atto.

Si tratta di modalità di guerra psicologica, condotte per influenzare il pensiero di massa. In questo modo la strategia del terrore raggiunge i suoi obiettivi politici, economici e sociali. Per questo, oltre alla razionalità, c’è bisogno di coordinamento e di coesione. Nell’opera di difesa della società dal terrore, i corpi dirigenti degli stati hanno un ruolo fondamentale.
Mantenere e diffondere la calma e non prendere decisioni basate sull’ondata emotiva delle persone (elettori) diventa una fondamentale necessità.

Alessandro De Carlo, Psicologo,

presidente Ordine degli Psicologi del Veneto