Ecco cosa e come cambia il lavoro negli uffici della Confcommercio di Treviso: svolta per il lavoro dipendente e per molti servizi.
I bilanci positivi della prima fase e i risultati di un’indagine interna, riflessi sulle lavoratrici che in Ascom sono la maggioranza
La pandemia è stato uno stress test per le imprese del terziario. E la Confcommercio di Treviso, la più grossa organizzazione di rappresentanza che segue e gestisce il comparto che è stato esposto più di qualsiasi altro settore economico alle chiusure, ha retto l’urto, cambiando l’assetto e l’organizzazione dei propri uffici. Per attuarla è partita da un’indagine interna: su 132 dipendenti (di cui ben 105 donne) dislocati nelle 7 sedi territoriali (Treviso, Montebelluna, Conegliano, Mogliano, Asolo, Roncade, Valdobbiadene), dalla quale emerge che solo il 15% non vuole fare smartworking per esigenze di spazio o famigliari, per il 30% invece aumenta la produttività e per il 55% la produttività resta inalterata. “L’esperienza del lockdown” – spiega il direttore Vincenzo Monaco- “ha accelerato anche la nostra trasformazione digitale variando l’approccio allo smart working da modello forzato, all’inizio, a progetto strategico che coniuga l’esigenza di garantire servizi innovativi al benessere organizzativo. I dati emersi dall’indagine interna ci hanno consentito di mettere a punto un progetto che, nel rispetto della funzionalità ed efficacia del servizio erogato e delle esigenze personali, modula e bilancia l’alternanza smart/presenza per tutti i livelli, anche per i vertici, garantendo benessere, salvaguardia delle relazioni, confronto tra colleghi, risultati, sicurezza del servizio erogato e protezione dei dati. Si va dal 4 smart + 1 presenza all’ 1+4 o al 3+2 o 2+ 3 con una differenziazione in base al ruolo e alla tipologia di lavoro, con la massima gradualità e flessibilità, grazie ad una infrastruttura informatica che permette il lavoro da remoto e garantisce la sicurezza dei processi gestionali. Nulla è lasciato al caso, dalla riorganizzazione degli spazi fisici all’implementazione di nuovi strumenti digitali di collaboration che prevedono un attività di formazione ad hoc”.
Dai tempi del “telelavoro” iniziato quasi per caso a fine anni ’90 e regolamentato dalle legge del 9 giugno 2004, ne è passata di acqua sotto i ponti. Il telelavoro è una pratica che prevede una postazione fissa del lavoratore in un luogo diverso da quello dell’azienda. Ora lo smart working, regolato dalla legge n. 81 del 22 maggio 2017 che lo denomina come “lavoro agile”, si basa su due punti cardine: la flessibilità organizzativa e la volontarietà delle parti che tra di loro stabiliscono accordi specifici pur nell’assenza di vincoli a livello di orario e di spazio. Prevede la dotazione della strumentazione tecnica al lavoratore ma, perché diventi realmente un’opportunità, deve garantire sicurezza e protezione dei dati, trasformare il controllo dell’orario di lavoro in una relazione efficace e flessibile e salvaguardare la relazione e lo scambio tra colleghi, assicurare la supervisione dei capiservizio, ovvero amplificare e mettere a sistema il lavoro in team.
“Su tutti questi aspetti – prosegue il direttore – nei difficili mesi della pandemia non siamo mai stati fermi. Abbiamo organizzato corsi, approfondimenti e formazione. L’area risorse umane, coordinata da Annalisa Trevisan, e l’area IT e digitale coordinata da Luca Benvenuti, hanno avviato un progetto che dal 15 ottobre è entrato a pieno regime e che in questa prima settimana sta dando ottimi risultati. Nessun incremento di assenze, nessun certificato medico: siamo partiti per tempo e tutti i dipendenti si sono organizzati con il green pass, ottenuto con tampone o con vaccinazione. Il lavoro in team non si improvvisa, soprattutto nel caso delle Associazioni di categoria, che hanno a che fare con un pubblico, quello delle imprese del commercio e del terziario, che necessita di risposte immediate, di servizi sicuri e di competenze che devono evolversi rapidamente in base alle normative. A tutto questo vanno aggiunti gli aspetti sociali e ambientali, ovvero l’impatto sul capitale umano, sulla conciliazione lavoro famiglia (soprattutto per la grande componente femminile del nostro personale), sul risparmio di tempo e sulla riduzione del traffico. Aspetti sui quali tutti, in primis noi Associazioni di rappresentanza, siamo chiamati a fare la nostra parte. Quello che sembrava appartenere al futuro, ora fa parte della realtà quotidiana e ce ne stiamo accorgendo anche dai colloqui per le nuove assunzioni dovuti ad un fisiologico ricambio generazionale. Lo smart è una delle richieste fondamentali dei lavoratori”.
“In sintesi” – conclude il direttore – “la spinta sullo smart working, all’interno di un più ampio processo di evoluzione digitale a favore dei nostri associati, è quel che resta dalla pandemia e, ad emergenza “quasi” finita, segnerà il passo del cambiamento. Per l’utenza, la situazione è semplificata, gli appuntamenti possono essere fissati in presenza o on line, ci sono uffici jolly, la disponibilità è totale.”
Eloquenti i principali risultati della survey interna sull’esperienza di lavoro a casa. Il 32% dopo 20 mesi di pandemia, si è detto “stanco” del lavoro a casa, il 71% si sente soddisfatto. Durante la pandemia, il 41% ha sentito la mancanza del sostegno emotivo dei colleghi, il 39% si è sentito isolato ed il 29% ha sentito distrazioni sonore o richieste famigliari.