Bostjan Nachbar si iscrive al gruppo degli entusiasti che non vedono l’ora di rivivere le emozioni di un tempo all’Old Star Game 2020. La 39enne ala slovena che a Treviso militò dal 2000 al 2002 vincendo Scudetto e Supercoppa con Mike D’Antoni in panchina prima di spiccare il volo verso la NBA sarà il più fresco tra i partecipanti, avendo interrotto solo nel 2017 una attività agonistica che gli ha regalato grandi soddisfazioni (titoli nazionali in 4 paesi diversi in oltre 20 anni di carriera). “Boki” racconta così le sue aspettative per l’evento in programma sabato 22 Febbraio alle ore 20.45 al Palaverde, organizzato da We for You Events&Communication di Ale Nava, in collaborazione con il Treviso Basket ed il patrocinio di Fip e Legabasket, a sostegno dell’”Officina Creativa – Made in Carcere” sostenuta da Santo Versace, che produce manufatti confezionati da donne detenute ai margini della società ed impegnata ad attività di reinserimento e nuovi percorsi formativi di vita con lo scopo di diffondere la filosofia della “Seconda Chance” e la “Doppia vita dei tessuti”.

“Sarà una serata speciale e una grande occasione per rivedere i miei compagni con i quali ho trascorso momenti felici. L’ultima partita che ho giocato al PalaVerde risale al 2002, sono molto contento dell’opportunità che l’Old Star Game mi darà di ritrovare un ambiente e degli amici che non vedo da tantissimo tempo visto che manco da quasi 20 anni. Non vedo l’ora di divertirmi ancora con loro e di cercare di divertire i tifosi che ci verranno a vedere per questo grande evento”.

Cosa ricorda della sua esperienza a Treviso? “I due anni che ho trascorso a Treviso sono stati fondamentali per la mia carriera. Senza giocare alla Benetton non sarebbe stato possibile coronare il sogno di sbarcare nella NBA. Maurizio Gherardini e Mike D’Antoni sono state persone decisive per la mia crescita: a 21 anni ho avuto la possibilità di avere minuti da protagonista in Eurolega, un’esperienza determinante per crescere e mettermi in luce in ottica del draft 2002”.

Lei arrivò come giovane prospetto dall’Olimpia Lubiana a soli 20 anni, Treviso fu la prima esperienza fuori casa della sua carriera: come scelse l’Italia e i colori biancoverdi? “La scelta fu molto veloce, ci misi pochissimo tempo a capire che per me la Benetton sarebbe stata la decisione giusta. Conoscevo la grande organizzazione e la stabilità di un club che puntava a grandi traguardi: è stato facile fidarsi di un dirigente come Maurizio Gherardini che aveva costruito una società modello, poi Treviso era stata la squadra che aveva lanciato verso la NBA Toni Kukoc che era il mio idolo da ragazzo e c’erano altri grandi del basket europeo come Rebraca, Pittis e il compianto Henry Williams. Inoltre per un ragazzo di 20 anni alla prima esperienza lontano da casa c’era un altro aspetto importante: Treviso era a due ore di macchina da casa mia, avrei affrontato la prima avventura in un campionato diverso e in un paese con cultura e lingua diversa dalla Slovenia ma restando comunque vicino a casa. Dal primo giorno mi sono sentito accettato e benvoluto, avrei voluto restare di più a Treviso”.

La vera consacrazione da stella arrivò nel 2001/2002 con Mike D’Antoni dopo l’aggiustamento della prima stagione. “Era il primo anno in un campionato di alto livello, la squadra aveva bisogno di risultati ed era normale che coach Bucchi desse spazio ai giocatori più esperti; fu comunque un’esperienza utile per imparare a gestire la pressione e le responsabilità di uno straniero. Poi arrivò D’Antoni, che aveva una filosofia diversa, più improntata ad un basket in campo aperto. Non dimenticherò mai la pima prima conversazione con Mike al raduno: mi disse subito “Boki, tu partirai in quintetto”. “Ma coach, non mi conosci”. “Ti conosco quanto basta: sei abbastanza forte e maturo per essere protagonista”. Non sono tanti gli allenatori che avrebbero avuto questo coraggio; finì molto bene per tutti dato che vincemmo Supercoppa e Scudetto”.

E poi arrivò la chiamata della NBA, scelta numero 14 di Houston nel draft 2002. “Col senno di poi ho lasciato Treviso troppo presto: forse con un anno in più in Europa sarei arrivato più pronto nella NBA. Ma Mike D’Antoni lasciò per tornare anch’egli nella NBA, e gli Houston Rockets furono molto aggressivi per convincermi a fare subito il grande salto. Con una stagione in più alla Benetton potevo giungere più forte e veloce tra i professionisti dove nell’anno da rookie non ho giocato molto. Però sono molto contento della mia carriera negli Stati Uniti: ho coronato il mio sogno da ragazzo, a casa avevo i poster di tante leggende NBA delle quali poi sono stato compagno ed avversario, meglio di così non poteva andare”.

Sette stagioni tra i professionisti e poi il ritorno in Europa vincendo ancora tanto; oggi di cosa di occupa? “Dopo aver vinto in Slovenia e Italia ho conquistato titoli in Germania col Bamberg e in Spagna col Barcellona, mentre in Turchia all’Efes ho vinto la Coppa del Presidente. Oggi sono impegnato principalmente con l’ELPA, l’associazione giocatori dell’Eurolega, e aiuto occasionalmente i Detroit Pistons quando mi chiedono consigli sull’area scouting. Sono ancora interessato alla NBA ma il focus principale è sull’ELPA”.

Quale messaggio lancia ai tifosi di Treviso in vista dell’evento del 22 febbraio? “Invito tutti i tifosi di Treviso a venire a vedere l’Old Star Game: l’occasione di tornare a Treviso dopo 18 anni è emozionante, non vedo l’ora l’ora di rivedere i vecchi compagni e gli avversari di un tempo, di riabbracciare i miei ex compagni e ritrovare i fans che ci hanno sostenuto. Mi aspetto una grande risposta dal pubblico trevigiano”.