L’uscita della Gran Bretagna (Brexit) dalla UE ha scombussolato non poco i piani degli imprenditori trevigiani e veneziani.
La prima a parlare è stata Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustria Treviso. «L’esito del referendum in Gran Bretagna apre scenari imprevisti e inediti in una situazione economica e sociale già caratterizzata da incertezza e continui cambiamenti su molti fronti. Con l’uscita di un Paese così importante dovranno essere ridiscusse, nei confronti dello stesso Regno Unito, conquiste come la libertà di circolazione delle persone e delle merci, i progetti comunitari per la formazione, l’innovazione, le reti transfrontaliere. L’augurio è che l’intervento della Bce possa attenuare gli effetti prevedibilmente negativi, almeno nel breve periodo, legati alle turbolenze dei mercati finanziari e della speculazione. Per l’economia trevigiana il mercato inglese è molto significativo e quindi andranno messi in conto costi aggiuntivi e nuove procedure per continuare ad essere presenti in quel mercato. Molti analisti temono anche un effetto recessivo della Brexit. È una fase destinata a continuare a lungo, se solo pensiamo che la trattativa per l’uscita di un Paese dall’Unione Europea, finora mai sperimentata, si prolungherà per almeno due anni per la rinegoziazione di tutti i trattati. L’Unione Europea sarà prevedibilmente concentrata su questo importante processo e minore sarà l’attenzione per altri temi altrettanto decisivi, pensiamo all’immigrazione e anche al rilancio degli investimenti per la competitività dell’Europa. È importante che gli imprenditori tengano i nervi saldi e continuino a operare, come già stanno facendo, in molti mercati, diversificando il rischio. Abbiamo già conosciuto situazioni di difficoltà in importanti mercati internazionali, ad esempio con la svalutazione del dollaro prima e del rublo poi, e abbiamo saputo reagire, con tenacia e responsabilità, riuscendo ad ottenere importanti risultati. In questa situazione di incertezza, dobbiamo continuare a credere nelle nostre capacità e in quelle dei nostri collaboratori per essere anche di esempio per tutta la comunità. Dalle difficoltà dobbiamo trovare nuova motivazione, con tutte le forze migliori del nostro Paese, puntando, con una seria politica di riforme, anche a rilanciare il mercato interno e a promuovere una strategia di crescita complessiva che valorizzi al meglio le nostre, molte risorse. Questo referendum inglese potrebbe diventare una scossa positiva per l’Europa e i suoi cittadini, in questa fase di stallo del processo di integrazione, considerando la possibile perdita dei grandi progressi raggiunti in passato e l’ambizione di costruire una nuova Unione Europea, flessibile e meno burocratica, autorevole ed efficace. La Brexit è quindi un punto di rottura ma potrebbe diventare un’occasione di ripartenza di un grande progetto, senza il quale saremmo tutti più deboli e isolati». In effetti con la Brexit l’export di Treviso rischia di perdere oltre 80 milioni di euro in un anno. Ne è convinto anche il presidente della Camera di Commercio di Treviso e Belluno e vicepresidente di Unioncamere nazionale Mario Pozza, secondo il quale «la cosa più ovvia da pensare è una ripercussione sull’export verso il Regno Unito, a fronte di una svalutazione della sterlina. Ma è anche da capire se di pari passo ci sarà anche una svalutazione dell’euro». L’analisi di Pozza parte dalle stime elaborate da Sace e applicate agli scambi trevigiani. Nel 2015 Treviso ha esportato verso il Regno Unito beni per un valore di 1,2 miliardi. Treviso, con un’espansione del +45%, frutto soprattutto delle progressioni a due cifre degli ultimi due anni, complici le vendite di mobili e di Prosecco. Nell’ipotesi di una contrazione degli scambi sulla base delle stime Sace più pessimistiche (-7%), l’export scenderebbe di 84 milioni di euro (tra il 2016 e il 2017).
Gian Nicola Pittalis
Per qualcuno è il primo passo su una strada da intraprendere tutti, stato dopo stato, per altri l’inizio della fine, di un crollo a catena che potrebbe trascinare tutto nell’abisso, altri ancora, invece, alzano le spalle convinti che quanto succeda al di là della Manica interessi solo chi vive dall’altro lato del “Canale”, ma ora che il voto sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea si è concretizzato in un lapidario “leave” guardare con occhio critico e analitico agli scenari futuri è forse l’unica scelta sensata, perché nel mondo del 2016 ogni decisione ha conseguenze con cui, alla fine, dovremo tutti fare i conti. A Venezia, ad esempio, il fenomeno “Brexit” non ha mancato di interessare immediatamente associazioni, istituzioni e privati; a poche ore dai risultati del referendum britannico lo stesso sindaco della laguna (e della Città Metropolitana) non ha esitato a prendere posizione: “Abbiamo a disposizione spazi e strutture per ospitare uffici, agenzie e istituzioni europee che vogliono o devono andarsene da Londra – ha detto Luigi Brugnaro, che non ha mai nascosto l’ambizione di trasformare la città d’acqua in una capitale internazionale – Le sedi di prestigio per queste realtà a Venezia non mancano, dai palazzi storici alle isole abbandonate a luoghi simbolici come piazza San Marco. Ne parlerò col premier Renzi e intanto lancio un appello oltremanica”. Più preoccupata dalle conseguenze infauste, la Cgia di Mestre ha invece concentrato la sua attenzione sui risvolti economici della vicenda: il nord-est è infatti l’area più interessata alle esportazioni verso il Regno Unito, con 35 tipi di prodotti che ogni anno finiscono in Uk, per un valore complessivo di 22 miliardi di Euro (meno allarmanti le le importazioni, che si fermano poco sopra i dieci miliardi); per quanto una previsione precisa sia difficile, resta certa la necessità di ratificare ben 54 accordi commerciali, oltre ovviamente al nuovo obbligo di dazi doganali e Iva. Ancora di più spaventano le ricadute nel settore turistico, croce e salvezza della laguna; il maggiore problema con cui bisognerà fare i conti sarà la svalutazione della sterlina, crollata subito dopo la conferma del “leave” anche del 10 per cento: i visitatori inglesi che ogni anno arrivano a Venezia sono pochi (tra il 5 e il 10 per cento del totale), ma il loro elevato potere di spesa li ha sempre resi particolarmente importanti, una situazione che rischia di ribaltarsi adesso, ma che potrà essere realmente quantificata solo tra diversi mesi.
Giacomo Costa