Aperta il 7 ottobre nella sede prestigiosa della Basilica Palladiana a Vicenza, la mostra “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”, organizzata a e curata dal trevigiano Marco Goldin, si è chiusa l’8 aprile toccando l’eccezionale vetta di quasi 500.000 visitatori. Qualcosa di questa esposizione continuerà da oggi a vivere per il pubblico nella vicina Treviso, per la precisione a disposizione dei visitatori e dei pazienti nell’atrio principale dell’Ospedale Ca’ Foncello.  E’ il modello in scala del manicomio Saint Paul de Bausole, noto anche come l’ospedale di Saint Remy, dove fu ricoverato Vincent Van Gogh. Come omaggio alla sua città, Marco Goldin l’ha donato all’Ulss 2, consegnandolo oggi al direttore generale Francesco Benazzi.

Si tratta di un’opera di eccezionale valore culturale e artistico, commissionata personalmente da Goldin all’artigiana bresciana Arianna Soccini in occasione dell’evento vicentino e composta su una superficie di 20 metri quadrati. 

Mi fa sempre molto piacere fare qualcosa per la mia città – spiega Marco Goldin -. Nel caso specifico, la mostra non si è tenuta a Treviso ma avevo il desiderio che qualcosa rimanesse qui per i miei concittadini, creando un legame ideale tra luoghi di cura. Il modello rappresenta un luogo di cura, forse il più importante legato alla storia dell’arte mondiale. Nell’atrio dell’ospedale trevigiano di Ca’ Foncello sarà un simbolo universale dell’attenzione verso la cura del corpo e della mente in un luogo di grande visibilità e frequentazione da parte di pazienti e familiari”.

Una targa di gratitudine ricorderà la donazione a poca distanza dall’opera. “Siamo veramente grati a Marco Goldin per averci donato un’opera così importante e così significativa per un ospedale – aggiunge Francesco Benazzi, Direttore generale – . L’avevo ammirata con occhio professionale alla mostra alla Basilica Palladiana. Sono rimasto entusiasta quando l’ha offerta all’azienda e abbiamo deciso che la giusta collocazione non poteva che essere nell’atrio più frequentato dell’ospedale più grande che abbiamo. Qui è a disposizione di tutti, può essere ammirato da chi ci passa una volta e da chi è presente più frequentemente. E’ un simbolo ed un messaggio per tutti di come  l’arte non sia solo un propulsore di umanizzazione ma anche una via di riscatto dalla malattia stessa”.