“Riordino”.

Ecco la parola-chiave alla base della Riforma del Terzo Settore, indicata al tempo da Luigi Bobba, Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali negli del Governo Renzi prima e Gentiloni poi, ma soprattutto padre putativo della Codice del Terzo Settore.

Tuttavia, parafrasando l’attuale Sottosegretario Claudio Durigon, “La Riforma del Terzo Settore è un cantiere aperto”.

E citando infine Alberto Franceschini, Presidente di Volontarinsieme – CSV Treviso, “La riforma è intervenuta non solo a riordinare la normativa sul terzo settore, ma anche a dettare nuovi paradigmi per i CSV che si troveranno a supportare una platea più ampia rispetto al passato, composta non solo dal volontariato, ma da tutti gli Enti del Terzo Settore (ETS) che comprendono ad esempio le Associazioni di Promozione Sociale (APS), le Fondazioni, le Imprese sociali e il mondo della Cooperazione Sociale.”

In tutto questo, una cosa è certa: nel futuro dei CSV vi sono infatti sfide importanti, impegnative e stimolanti da affrontare, nell’ambito di un mondo dell’associazionismo e del volontariato in forte evoluzione.

La società in cui viviamo attraversa un’importante trasformazione: dalle politiche di welfare con risorse sempre più risicate, dal fenomeno della denatalità che ha portato ad un progressivo invecchiamento del nostro Paese, dalla Riforma del Terzo Settore che è diventata realtà, pur in attesa dei decreti attuativi che ne completeranno il quadro. Tutti questi elementi stanno mutando il quadro degli obiettivi, delle azioni e delle competenze necessarie per qualificare sempre più l’agire quotidiano dei volontari.

Il volontariato, segmento significativo del Terzo Settore, è sempre più un sistema che si intreccia ed integra con altri enti erogatori di servizi sociali. Questo fa emergere da un lato l’importante ruolo che gioca il volontariato, azione gratuita e disinteressata di molti cittadini, dall’altro il rischio di diventare elemento sostitutivo, e non integrativo, delle istituzioni preposte a dare risposte e servizi alla collettività.

 

Vediamo tre cardini della Riforma del Terzo Settore

PRIMO: vengono abrogate diverse normative, tra cui due leggi storiche come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).

SECONDO: vengono raggruppati in un solo testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo Settore (ETS) con sette nuove tipologie: organizzazioni di volontariato (che dovranno aggiungere OdV alla loro denominazione); associazioni di promozione sociale (APS); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali), per le quali si rimanda a un decreto legislativo a parte; enti filantropici; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).

Restano dunque fuori dal nuovo universo degli ETS, tra gli altri: le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Mentre per gli enti religiosi il Codice si applicherà limitatamente alle attività di interesse generale di cui all’esempio successivo.

Gli Enti del Terzo Settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo Settore (già denominato Runts), che farà quindi pulizia dei vari elenchi oggi esistenti. Il Registro avrà sede presso il Ministero delle Politiche Sociali, ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso Ministero, il Consiglio Nazionale del Terzo Settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.

TERZO: vengono definite in un unico elenco, riportato all’articolo 5,  le attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che in via esclusiva o principale sono esercitati dagli Enti del Terzo Settore. Si tratta di un elenco, dichiaratamente aggiornabile, che “riordina” appunto le attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltura sociale, legalità, commercio equo, per citarne alcuni).

Gli ETS, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili.

Allo stesso tempo potranno però accedere a una serie di esenzioni e vantaggi economici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto forma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo Progetti Innovativi, di lancio dei “Social Bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.

Senza contare che diventano esplicitate, per la prima volta in una legge, alcune indicazioni alle pubbliche amministrazioni come ad esempio cedere beni mobili o immobili, per lo svolgimento di  manifestazioni, senza oneri per le associazioni, o concedere strutture per le sedi associative in comodato gratuito o a canone agevolato per la riqualificazione. Le pubbliche amministrazioni saranno inoltre invitate ad incentivare la cultura del volontariato (soprattutto nelle scuole) e a  coinvolgere gli ETS sia nella programmazione che nella gestione dei servizi sociali, nel caso di OdV e APS, “se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.

Una parte consistente del Codice (sei articoli, dal 61 al 66, pari al 14% dell’estensione del testo) è dedicata ai Centri di Servizio per il Volontariato (CSV), interessati da una profonda revisione in chiave evolutiva che ne riconosce le funzioni svolte nei primi 20 anni della loro esistenza e li adegua al nuovo scenario. A cominciare dall’allargamento della platea a cui i CSV dovranno erogare servizi, che coinciderà con tutti i “volontari negli Enti del Terzo Settore”,  e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91.

I CSV – che dovranno essere di nuovo accreditati – verranno governati da un inedito Organismo Nazionale di Controllo (ONC) e dalle sue articolazioni territoriali (OTC), le cui maggioranze saranno detenute dalle fondazioni di origine bancaria. Sarà inoltre ridotto il numero complessivo dei CSV in riferimento ad alcuni parametri territoriali: un CSV ogni milione di abitanti, uno per ogni città metropolitana, uno per ogni Provincia montana confinante con un altro Stato.

Nella governance dei CSV potranno entrare tutti gli ETS (secondo il cosiddetto principio delle “porte aperte”), lasciando però al volontariato la maggioranza nelle assemblee. Saranno previsti nuovi criteri di incompatibilità tra la carica di presidente di un CSV e altre cariche, ad esempio ministro, parlamentare, assessore o consigliere regionale o di Comuni oltre i 15 mila abitanti.
I CSV, insieme alle Reti Associative Nazionali, potranno essere autorizzati dal Ministero delle Politiche Sociali all’“autocontrollo degli Enti del Terzo Settore”.
Viene infine centralizzato e ripartito a livello nazionale il fondo per il funzionamento dei CSV (il cosiddetto FUN, Fondo Unico Nazionale) che continuerà ad essere alimentato da una parte degli utili delle Fondazioni di origine bancaria e da un credito d’imposta fino a 10 milioni, a regime, che queste ultime si vedranno riconoscere ogni anno.

 

L’insieme delle normative qui esposte, insomma, determinerà l’aggiornamento di tutti gli statuti delle Associazioni, che diventeranno quindi ETS, perdendo, in taluni casi, l’acronimo di Onlus.

Come si può comprendere, la Riforma del Terzo Settore comporta una trasformazione significativa, anche per il ruolo specifico dei CSV. Un cambiamento che dovremmo necessariamente affrontare insieme, in maniera unitaria e condivisa.