‘Il mondo del nichilismo, il nostro, è il mondo dell’infondatezza. In esso le scelte si presentano tutte come arbitrarie. Può l’intelligenza critica penetrare questo mondo senza assumerne la caratteristica più intrinseca?’

Ponendo questa domanda retorica, per me tanto incomprensibile all’epoca quanto rivelatoria ed allarmante oggi, 20 anni fa esatti Fabio Brotto dava il là a “Divenire Nulla”, sua prima pubblicazione filosofica, che nel settembre 2000 elargì in copia a ciascuno dei suoi studenti dell’”Antonio Canova”. Tra quei banchi, forse immeritatamente sedevo anch’io, all’alba della mia Seconda Liceo Classico.

Ebbene: dopo un intero anno accademico trascorso sbuffando per la soggezione che quell’imperscrutabile uomo d’altri tempi m’incuteva, dando del “lei” a un branco di minori che apostrofava per cognome e pretendendone l’alzata in piedi ad ogni suo ingresso in classe (“Scusi, prof., saremmo nel 2000 eh…”), fu proprio sfogliando “Divenire Nulla” che io afferrai, una volta per tutte, l’autentica cifra di quest’uomo. La sua potenza riflessiva, la sua profondità di pensiero. Ben più impressionanti di quanto la già sterminata cultura non lasciasse presagire. Raramente, nella mia vita, ho avuto la fortuna d’innamorarmi della testa di un uomo: questo fu uno dei casi.

Eppure, dietro una conoscenza enciclopedica della letteratura non solo italiana, bensì internazionale (sostenuta da un eclettismo culturale che gli consentiva di ritrovare in Star Wars tutti i tòpoi del poema cavalleresco), dietro quell’imperioso aplomb che non si capiva quanto appartenesse alla persona e quanto invece al personaggio, il prof. Fabio Brotto era uomo di straordinaria umanità e sensibilità. Virtù comprovata in anni recenti dalla sua estrema, indefessa, commovente dedizione a Guido, il terzogenito autistico, e all’associazione Autismo Treviso da egli stesso fondata e presieduta; ma già manifestata ai bei tempi dell’insegnamento, nei confronti di ragazzi e ragazze che oggi, grazie anche a lui, son diventati in buona parte grandi uomini e donne. Posso testimoniarlo.

In questo momento, ad esempio, nel cordoglio tenero e triste per il nostro professore, una di loro mi sta rinfrescando la memoria via WhatsApp circa alcune specialità della casa: “Potrei ricordare i suoi rimproveri in arabo che lasciavano tutti zitti per qualche minuto, e lui beffardo che diceva tra sé e sé ‘Allora non è vero che l’arabo non si capisce’… Oppure quando, il giorno dopo lo sciopero studentesco, indiceva un tema in classe nel quale avremmo dovuto motivare la nostra adesione alla manifestazione… Che lezione di vita! O ancora quando si nascondeva nel giardino della scuola pianificando un’imboscata ai ragazzi che fumavano!”

Ho gli occhi lucidi.

“E poi quando vedeva noi ragazzine innamorate, e subito veniva a ricordarci che l’amore romantico era reale solo se il nostro lui sapeva citarci un Dante o un Cavalcanti”.

Ora non sono più soltanto lucidi. Forse è meglio io chiuda qui.

Fabio Brotto, per me, e per innumerevoli suoi studenti, è stato insomma un assoluto maestro di vita, oltre che un eccezionale professore d’italiano, latino e letteratura comparata. E ieri, 18 aprile 2020, qui a Treviso il Coronavirus ha ucciso un uomo davvero grande.

Perciò voglio gridare verso il cielo GRAZIE, PROF: mentre lei esplora il suo adorato Paradiso, dantesco o meno che sia, ogni tanto mandi giù qualche “rimBrotto”, a riportarci, come sempre, sulla via retta. Ché noi qui siamo ancora impantanati all’Inferno.