Per lo Stato italiano, per le autorità e per la magistratura il suo debito è stato saldato, è tornato ad essere un uomo libero, tanto che a fine giugno è potuto andare fino a Favaro, alla competente stazione dei carabinieri, per ritirare l’atto di scarcerazione definitiva, eppure Renato Chisso, ex assessore regionale alle Infrastrutture finito in carcere in seguito alle indagini sul caso Mose, non è certamente sereno in queste sue prime settimane di rientro alla normalità. Come ha raccontato lo stesso politico di Quarto d’Altino durante le prime interviste, infatti, conclusa la pena sarebbero iniziati i problemi: “Ho bisogno di lavorare, mi adatto a fare qualsiasi cosa – ha dichiarato Chisso a poche ore dal rilascio ufficiale – Devo sopravvivere, e comincerò a bussare alle porte delle case”. Rintanato nella sua modesta villetta ai margini di via Ca’ Solaro, l’ex membro della Giunta Galan doveva forse aspettarsi la gragnola di insulti e commenti mordaci che ha seguito le sue esternazioni: un indovinato post online di Jacopo Berti, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, ha infatti scatenato l’ironia e la rabbia del web, che certo non si fa remore nel caricare a tutta forza quando individua un bersaglio; con un hashtag semplice e immediato, #chissonewjob, il capogruppo pentastellato ha domandato ai social network quale potrebbe essere un impiego adeguato per l’ormai ex collega, e le risposte non si sono fatte attendere. Dai contrappassi danteschi che lo volevano chino a lucidare ogni più scomoda paratoia del Mose fino ad arrivare alle più dirette raccolte di pomodori e spaccature di pietre, alle ipotesi più sardoniche si alternavano spinoziani moti di spirito (“qualcuno lo aiuti, se no si mette a rubare”), e solo in pochissimi hanno scelto di approfittare dell’argomento per approfondire sinceramente il tema della riabilitazione: “Scontata la pena, almeno chi ha un ruolo istituzionale o pubblico, non dovrebbe sentirsi in obbligo di abbandonare il populismo e considerarlo alla stregua di tutti gli altri cittadini? – si domandava un utente online – Se così non fosse, significherebbe che il carcere è inutile e inefficace e l’unica condanna socialmente accettabile sarebbe quella capitale anche per i ladri di galline”. L’appello di Chisso, comunque, non è rimasto inascoltato: il primo a tendergli la mano è stato Graziano Debellini, numero uno delle cooperative sociali del Padovano che rispondono a Comunione e Liberazione, che in un’intervista si è detto pronto a tutto pur di reintegrare l’ex assessore.

 

Giacomo Costa

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