Nella letteratura c’era già, proprio in quella che conta: nelle pagine del Premio Nobel Ernest Hemingway che all’Harry’s Bar di Venezia ha trascorso sere e notti, ha bevuto Martini e Vapolicella, scritto alcuni capolavori del
Novecento. Ha anche dedicato al celebre locale, oggi monumento nazionale, una novella delicatissima, la storia
di un leone d’Africa che nasce con le ali e viene ripudiatoArrigo Cipriani laggiù nella savana, perché troppo diverso. Certo,è figlio del Leone di San Marco e fin sulle cupole della Basilica deve volare per ritrovare il padre, vedere dall’alto la sua città e avvertire che il padre passerà “a pagare il conto da Cipriani”. Perché i grandi scrittori, come i grandi attori, talvolta dimenticano.
Arrigo Cipriani racconta un episodio che  da solo racchiudere
un mondo. Una mattina il padre Giuseppe  lo svegliò per spedirlo di corsa alla stazione di Santa Lucia dove  il grande Orson Welles stava per partire  senza aver saldato il conto. “Lo trovai affacciato al finestrino,  lo occupava interamente, con i gomiti appoggiati. Mi vide e mi gridò: ‘Cipriani viene con me a Parigi?’. Capito che ero lì per altro, si tolse dal taschino e mi gettò il blocchetto dei traveler’s cheque, che erano gli assegni con i quali si viaggiava all’alba degli Anni ’50. Dovevano essere firmati per l’incasso, urlò ‘Firmi lei, Cipriani’ e si nascose nella nuvola di fumo del grosso sigaro Avana”. Ora l’Harry’s Bar è entrato anche nel cinema, con un cortometraggio, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta la storia di un locale che ha 84 anni, creato da Giuseppe Cipriani e lasciato al figlio Arrigo. Il film è stato girato dalla documentarista Carlotta Cerquetti con la collaborazione di Irene Bignardi: quasi un’ora di documenti e di interviste. La storia è davvero entrata nel locale  di Calle Vallaresso: da Hemingway a Truman Capote, da Eugenio Montale a Giorgio De Chirico, la Callas e Woody Allen. Finanzieri, miliardari, re e regine. Una sera ai tavoli erano seduti quattro re!

L’azienda familiare è cresciuta, è arrivata alla quarta generazione, ha locali sparsi in tutto il mondo, dall’America
all’Asia, da New York a Hong Kong, passando per Mosca e Abu Dabhi. Cipriani è nome di garanzia della classe italiana
e dell’alta cucina. Arrigo è il patriarca, racconta di essere “l’unico uomo al mondo col nome di un bar, solo dopo ho capito perché mio padre ha chiamato il locale Harry’s e me Arrrigo, in tempo fascista era difficile battezzare i figli con nomi stranieri, valeva l’autarchia”. Scrittore raffinato, autore di romanzi e saggi, Arrigo Cipriani a 83 anni è il custode della sua stessa leggenda. Certo è il veneziano più famoso nel mondo, continua a viaggiare tra gli USA e Londra, Ibiza e MonteCarlo. Rappresenta la sua storia vissuta –dice – in quella che chiama la “Stanza”, il piano terra del locale, lo spazio originario, una stanza di 45 metri quadrati dove la leggenda è nata e dove continua. Ora la famiglia Cipriani punta sulla rivalutazione dell’isola di Torcello, dove nel dopoguerra Giuseppe aprì la locanda che ospitava Hemingway e dove si possono coltivare i migliori carciofini della laguna, far crescere le insalate più buone, cucinare i piatti della tradizione. Perché, come dice Arrigo, “la vera cucina italiana è la trattoria”. Sono i nostri sapori, le nostre ricette che vengono dalla cucina familiare. Non crede nelle guide per consigliare dove mangiare: “Basta con le guide dei copertoni”. E ce l’ha con i cuochi che sono sempre in tv: “Ma se tutti i cuochi sono in televisione, mi volete dire chi cucina nei ristoranti italiani?”.

Edoardo Pittalis