Dal Louvre di Parigi all’Ermitage di San Pietroburgo, dal Maxxi di Roma fino a Londra e Singapore, per giungere al 21Gallery del Treviso Arts District.

Mercoledì 24 gennaio, nella caleidoscopica e polivalente struttura villorbese, inaugura “Allegory of Vanitas” (An Act of Love), un corpus di opere di Jan Fabre.
Tra sculture in corallo rosso del Mediterraneo e disegni realizzati con il proprio sangue; tra teschi da vanitas, cuori anatomici, croci e oggetti liturgici, ma anche lo Yin e Yang e il nodo d’amore celtico. E poi emblemi legati alla solidarietà e agli aiuti umanitari, e ancora oggetti che ricordano credenze popolari o vicende personali dell’artista: arriva in città una mostra itinerante, che grazie ad una curatrice del calibro di Melania Rossi, ha viaggiato per grandi capitali culturali, prima di raggiungere la nostra Marca Gioiosa et Amorosa.

Un’esposizione che approda sulle sponde della nostra Città d’Acque per stupirne gli abitanti più curiosi, consapevole di trovare qui un pubblico ben diverso, meno eterogeneo e dunque forse più “sfidante” rispetto a quelli già fronteggiati con successo nelle metropoli attraversate. Ma che, soprattutto, vuol mettere a nudo la profondità artistica di questo sessantacinquenne sognatore di Anversa, che rientra senz’altro nel novero delle più innovative figure nel panorama dell’arte contemporanea internazionale. Artista visivo, creatore teatrale e autore, Jan Fabre da oltre 40 anni inventa atmosfere caratterizzate da regole, leggi, personaggi, simboli e motivi estremamente personali.

“Allegory of Vanitas” (An Act of Love) contempla ben trenta opere di Fabre, in cui l’arte diviene il mezzo privilegiato per raffigurare la vita, la sua origine e il suo mistero, gli opposti, le armonie e la bellezza. Ed ecco che le sculture in corallo rosso divengono concrezioni infocate che paiono emerse direttamente dagli abissi della sua mente; ecco che i disegni inediti con il sangue dell’artista vedono il fluido vitale usato con impressionante maestria, per raccontare la gestazione del figlio Django. L’artista, qui, racconta gli albori dell’esistenza attraverso le ecografie del figlio nascituro, invitando ad una riflessione su vulnerabilità e bisogni dell’essere umano, in cui l’esperienza privata si fa universale. Nella minuziosa ricerca del belga, ogni lavoro esprime una diversa allegoria dell’esistenza, all’insegna del contrasto tra tensione e stupore. Contrasto tuttavia edulcorato ed armonizzato da una costante infusione di spiritualità. Perché, come dice Fabre: “l’arte è come l’amore: alla fine porta sempre una riconciliazione”.