Marzio Innocenti in conference-call
Marzio Innocenti in conference-call

Oggi è stata di scena la conferenza stampa, in conference-call, di Marzio Innocenti, neo eletto presidente della Federazione Italiana Rugby.
“Innanzitutto devo entrare nell’ottica che sono un’Istituzione. Spero di riuscire a tirar fuori il nostro rugby da un pantano veramente difficile: per fare questo, c’è bisogno di tutti, anche di voi, che spero siate la voce critica che ci possa spingere a migliorare, perché è giusto che quando le cose non vanno bene, vadano messe in evidenza, il giornalismo credo che sia stato inventato proprio per questo. Non mi piacciono i giornalisti tifosi, ma mi piacciono i giornalisti appassionati. Ho detto ai presidenti che ieri mi hanno eletto che dobbiamo ragionare come un’unica squadra. Sono perfettamente consapevole che c’è il problema della Nazionale, ma non è l’unico, è un terminale di situazioni che ha bisogno di ripartire, perché i ragazzi della Nazionale ci mettono la faccia. Da par mio, anche se è da meno di 24 ore che sono stato eletto, sono sei anni e più che giro per le Club House di questa nazionale. Conosco tutte le società italiane, personalmente, e sono tutti miei compagni di squadra. Io ieri ho visto per questo perché io sono la base. Non ho fatto una campagna elettorale cercando di trovare accordi e accordicchi. Il primo impegno che mi prendo è quello di conoscere tutto quello che riguarda la Federazione. Non ho la bacchetta magica e io da solo non sono la soluzione al problema”.
Il Sei Nazioni
“Il senso della frase che ho detto ieri, cioè che “un contratto non ci salverà” è questo: io e tutto il rugby italiano ci saremo comunque, ancora, nella malaugurata ipotesi che ne usciremo, e che noi ovviamente faremo di tutto per scongiurare. Il rugby italiano deve cominciare a capire che non deve aggrapparsi sempre all’esterno: ha una sua forza, ha una sua identità, ha una sua tradizione. Questo ci deve aiutare a restare dentro per meriti sportivi, questo è fondamentale. Noi dobbiamo restare là perché ce lo meritiamo, ce lo siamo meritati, non per motivi economici o finanziari, siamo entrati nel Sei Nazioni perché ce lo siamo meritati, e dentro al Sei Nazioni abbiamo anche fatto delle cose buone e dobbiamo tornare a farle il prima possibile”.
La pandemia
Una delle priorità della Federazione in questo momento è far ricominciare a giocare a rugby reale. La situazione della pandemia è in questo momento molto complicata per fare previsioni. C’è una commissione tecnico-scientifica che dà delle direttive ben precise. Ma all’interno di questi perimetri, che riguardano la vita in generale, non solo lo sport, dobbiamo cercare, in maniera attenta, di porter far riprendere i nostri ragazzi, specie quelli dell’under 16 e dell’Under 18, ovviamente con i tamponi con tutte le procedure che sono state messe in pratica per riprendere l’attività. Ci saranno cambiamenti, meditati, ragionati, in modo che non portino a un problema più grosso di quello che c’è, a prescindere”.
Le franchigie
“Le franchigie sono una delle cose importanti del programma che vogliamo portare avanti. Da un esame fatto finora dei bilanci federali pubblicati, ci siamo resi conto che spendiamo troppo per le franchigie, e di conseguenza, se vogliamo incominciare a lavorare sui territori, abbiamo bisogno di risorse da spostare sui territori. Questo è un assetto fondamentale per cominciare a ragionare sul futuro del rugby italiano. Di conseguenza deve essere fatta una ristrutturazione del sistema delle due franchigie. Il Benetton Rugby Treviso è fondato su una struttura che autonomamente si regge, non così le Zebre, quindi dobbiamo concentrarci molto per rendere sana, sostenibile dal movimento la franchigia delle Zebre. Sennò, come alternativa, fra le altre c’è anche il fatto che un imprenditore, Alessandro Banzato, ha scritto nero su bianco, alla Federazione, che sarebbe disponibile a rilevare la licenza e a portare avanti la franchigia. Ci saranno altri imprenditori che lo avranno pensato e che non lo hanno formalizzato, questo anche dall’estero. Noi queste cose non possiamo nasconderle, non possiamo ignorarle,  una risposta a queste persone va data,  però  chiaramente è una risposta in questo momento interlocutoria, perché dobbiamo vedere le carte, dobbiamo vedere le situazioni dobbiamo andare i progetti. Noi facciamo rugby, non facciamo impresa, e facendo rugby vuol dire che noi abbiamo un obiettivo primario che è quello di avere il massimo risultato sul campo, il massimo risultato sul campo con la nazionale, con le franchigie, con il campionato nazionale, con i club. Per cui: se il progetto di coloro che vogliono prendersi la franchigia è un progetto compatibile con quelli che sono gli obiettivi della Federazione Italiana Rugby, andremo avanti per questa strada, altrimenti, anche se sono progetti allettanti, da un punto di vista economico, il fatto di poter spostare la franchigia su altre persone non potrà essere fatto.  Però per fare questo ci vuole molta attenzione”.
Vendita quote 
“Immagino che noi abbiamo dovuto anche adattarci a quella che è la scelta del Board non credo che siamo stati noi i fautori di questa scelta, una via che ci sta in un momento difficile come questo, in cui tutte le Union comunque soffrono problemi finanziari. Però  è stato un po’ come vendersi i gioielli di famiglia. Sui 60 milioni che arriveranno, ho un’idea ben precisa: non verranno utilizzati per tappare dei buchi, non verranno distribuiti ai Club in maniera che risolvano le loro situazioni spicciole. Questi sono soldi che arrivano una tantum. E dovranno essere utilizzati per realizzare progetti strutturali che possono aiutare il rugby italiano a crescere. Ne parleremo consultando i Club. Sia chiaro che non sto dicendo “faremo questo”, dico però che, ad esempio, la decisione del club potrebbe essere quella di spostare tutti questi 60 milioni di euro sulle strutture; fare campi, specie nel Sud Italia ma non solo. Oppure cercare in giro per il mondo dei formatori che ci sono, a livello internazionale, e distribuirli sul territorio sei mesi per ogni Club per fare formazione”.
Direttore Generale o Segretario forte?
“Al di là delle dizioni, di direttore generale o segretario generale, è  importante la funzione di questa persona. cioè ci deve essere qualcuno che abbia le chiavi di tutto, che può intervenire su tutto, certamente collegato al presidente e al consiglio federale con la struttura centrale, nei posti anche internazionali, nella gestione tutte quelle che sono le attività sportive e non sportive generale è una questione semantica che non mi appassiona più di tanto”.
Accademie e Club
“Noi abbiamo raggiunto i risultati sportivi più importanti, della nostra storia rugbystica, non con il sistema delle accademie, ma con il sistema dei club, perché la squadra di Giovannelli, di Dominguez e altri, l’hanno costruita i club, non l’ha costruita la Federazione. Che poi dopo ci fosse la necessità di una struttura di formazione verso l’altissimo livello più strutturata, in questo modo, ce l’hanno tutti quanti, tutte le nazioni evolute, è giusto che ce l’avesse anche la Federazione. Ma la Federazione ha fatto una scelta un po’ diversa. È stato deciso di andare a prendere i ragazzi a un’età in cui  i Club avevano ampi spazi per poterli formare, in un sistema che ci ha fatto diventare noi  Federazione, come una sorta di Grande Fratello che andava a prendere nei Club i migliori giocatori, creando non pochi problemi, lo posso assicurare. Innanzitutto, una cosa sbagliata è prendere questi ragazzi in una età giovane e fargli cambiare tre volte scuola, il che è una cosa che non va bene. Vogliamo ristrutturare il sistema, perché è assolutamente giusto che la Federazione faccia la formazione di alto livello, e per il professionismo, ai ragazzi, ma l’età deve essere spostata, almeno alla quarta e quinta liceo. Ma i ragazzi non possono essere formati cominciando dalla quarta e quinta liceo, nel senso che tutto quello che c’è prima, vogliamo strutturare in maniera tale che siano prima i Comitati Regionali ristrutturati in modo tale da farlo, poi pian piano spostare queste competenze anche nei Club, in modo che ci fornirà una grande massa di giocatori, di ragazzi fino alla seconda-terza liceo. Poi la formazione per l’altissimo livello non ci possono, o non ci vogliono andare tutti, ma ce ne va una piccola parte, sulla quale la Federazione si deve concentrare, perché ha i soldi per fare gli staff ancora migliori di quelli dei Club. Noi dobbiamo puntare ad avere grandi e buoni tecnici in tutti i Club, che facciano formazione di primo livello. E penso che ci siano ottimi tecnici italiani, non credo che ci siano grandi tecnici formatori solo all’estero. L’importante è che quelli che vengono da fuori capiscano che gli italiani possono giocare a rugby bene quanto quelli di qualsiasi altra nazione”.
Il rilancio del Top 10
“E’ un problema grosso, un problema importante quello del campionato domestico: non può sostenersi uno sport nazionale e specialmente in un paese di 60 milioni di abitanti, senza un campionato domestico importante. Ora, non voglio far solo l’esempio del calcio, ma ci deve insegnare tante cose: perché un campionato che ogni settimana attiri l’attenzione degli appassionati, dei media, di coloro che vogliono investire sullo sport, è fondamentale, è molto più importante delle due franchigie; le due franchigie fanno un campionato internazionale, che in Italia devo dire che, se andiamo a vedere quanti lo conoscono e quanti lo seguono,  secondo me non sono tantissimi. Mentre invece io credo che un  campionato italiano appassionante abbia un’ audience molto più alta. Quindi lo sforzo che dovremo fare, nel tempo, è proprio quello di arrivare a portare questo campionato nazionale a livelli più importanti che possiamo. Io non so quanto tempo ci vorrà, però sicuramente l’intenzione è quella di farlo a breve. Io ho parlato, e voglio fare, quella che si chiama  SuperLega, un campionato di professionisti, in cui si entra non per merito sportivo, ma si entra per criteri; criteri che ovviamente stabilirà la Federazione, criteri gestionali di tipo economico, finanziario, tecnico, sportivo, strutturale e organizzativo. Questo è nel programma. Quanti sono che lo possono fare? In questo momento non sono tanti, è evidente, però l’idea è di partire comunque, e di, speriamo, aumentarli sempre di più. Poi ci sono tanti situazioni che si possono trovare per rendere interessante un campionato. Noi lo vogliamo strutturare sul modello della NBA americana: con un commissioner, con il consiglio dei proprietari, i quali abbiano non carta bianca, perché non esiste in nessuna struttura, ma che abbiano ampia libertà e autonomia, per raggiungere gli obiettivi che sono appunto quelli di avere un campionato di grande interesse, per tutta la nazione, da cui tutte le sue tutte le sue declinazioni economico-finanziarie, informative e tutto il resto. Ovviamente, quindi, senza retrocessioni. Questo determina anche che il nostro sistema professionistico, se riusciremo e quando riusciremo a farlo, comprenderà le due Franchigie e la SuperLega. Al di sotto o allo stesso livello, c’è lo sport non professionistico, e non vuol dire che è uno sport tanto per, ma amatoriale, del piacere di giocare, che è comunque un altro rugby importante, perché c’è un bacino immenso di giocatori giovani, giocatori, più anziani, persone che potranno fare i dirigenti gli arbitri, comunque appassionati, che questa Federazione deve seguire con attenzione, dagli obiettivi chiaramente differenti. La cosa fondamentale è che in questa grande parte ci sono ragazzi, e ragazze, che giocano non per professione, ma che  studiano e lavorano. Di conseguenza tutti i campionati, la struttura federale, sarà calibrato su persone che studiano e lavorano. Al di sopra ci sono i  professionisti, ma per diventare professionista prima bisogna avere le qualità, secondo bisogna decidere se lo vogliono fare o no. A chi vuole fare il professionista, spererei che l’organizzazione professionistica che lo prende sia così eticamente valida da preparargli il futuro. Per cui anche questa è un altro argomento importante su cui dobbiamo impegnarci comunque, quello di garantire un futuro anche ai nostri professionisti. Ed il professionismo che abbiamo visto in Italia, a livello domestico, è qualcosa che vorrei definire raccapricciante”.
Le strutture sportive.
“I problemi delle strutture ci sono ovunque, ci sono di più nel Meridione che nel resto d’Italia però ci sono anche nel resto del territorio. L’importante è conoscere bene queste cose, e posso dire che da ex presidente del comitato regionale, i comitati Regionali sono le strutture migliori per poter conoscere bene queste cose, perché c’è scritto anche nel nostro programma: i presidenti, i consiglieri, tutta la struttura federale devono conoscere ogni situazione che riguarda ogni Club del territorio, per cui innanzitutto come ho detto prima bisogna conoscere e poi agire. Certamente, in certe situazioni, prima di cominciare a parlare di rugby, e di formazione, e tutto il resto, bisogna avere dove poter, decorosamente, giocare a rugby. E queste sono le cose su cui deve intervenire la Federazione, che deve avere la capacità di assistere i propri Club, nei rapporti con i Comuni, le Regioni, gli Enti Locali,   con tutti coloro che ci  possono aiutare, per raggiungere quelli che sono i finanziamenti europei per lo sport, per la gioventù, a cui l’Italia riesce ad accedere come sistema paese, non  come rugby, solo per l’uno per cento, e questo o perché non sappiamo fare i bandi, oppure perché non li conosciamo neppure. quindi, la questione impianti deve essere affrontata in questo modo, ma è un po’ puerile affermare che la Federazione farà i campi: la Federazione non ha i soldi per fare i campi a tutti, ma può aumentare il suo patrimonio, per poter garantire i prestiti sicuri, che ci vengano fatti dal credito sportivo, dalle banche, da chi possa erogare il finanziamento, e che i presidenti devono aspettare: qualche volta, qualche presidente ha dovuto mettere le sue firme per poter avere un prestito dalla banca, che comunque copriva le spese che sarebbero comunque state coperte da contributi federali o  di altro tipo. Questo è quello che può fare la federazione: creare le condizioni per risolvere i problemi.  Questa è l’idea per risolvere il la questione nel tempo, che ovviamente non si risolve dall’oggi al domani. E i posti dove fare gli impianti sono prioritari rispetto a quelli dove gli impianti vanno migliorati “.
Scuole
“La scuola è il posto più importante dove si possono trovare nuovi giocatori e nuove giocatrici;  tutti attingono alla scuola,  quasi che fosse un Supermarket su cui si vanno a prendere i ragazzi e le ragazze; non è così, la scuola è una struttura che fa educazione, è quella la sua priorità, e non possono interessarsi alla nostra priorità, che è quella di avere e trovare ragazzi da far giocare a rugby; per cui noi dobbiamo entrare nella scuola parlando il linguaggio della scuola,  su quello ci concentreremo. E cercare, con il Ministero dell’Università e dell’Istruzione, questo tipo di regole, e su questo poi uniformare il nostro lavoro, perché la Federazione, tramite i suoi organi territoriali, tra tutte le formazioni che deve fare, deve fare anche la formazione di coloro che vanno nella scuola. Non possiamo permetterci che a Frascati si faccia una cosa e a Bologna se ne faccia un’altra, soltanto per la buona volontà di colui che è entrato e ha trovato l’aggancio della scuola: noi dobbiamo garantire alla scuola esattamente quello che la scuola vuole, ed in cambio avremo la possibilità di avvicinare al rugby tanti ragazzi, e fra questi tanti ragazzi, speriamo che qualcuno decida strutturalmente di venire nei campi, e nei Club delle nostre società, e continuare a giocare”.
Donne
“Il rugby femminile ha meritato molto in questi anni, e merita anche diventare maturo, in fatti Noi pensiamo di strutturare, e questo a breve, i campionati femminili, con la prima divisione, la seconda divisione, con promozioni e retrocessioni. E questo è già un passaggio. E’ chiaro che abbiamo ancora un gap importante di praticanti. Ne abbiamo ma non ne abbiamo così tante che potrebbero garantirci dei campionati ben strutturati,  però dobbiamo pensare in grande, per cui anche per loro dobbiamo pensare che non sono più una “razza protetta”, come finora sono state in qualche modo gestite. Sono esattamente al pari di quello che sono i campionati maschili. Per quanto riguarda invece la parte di tipo professionale, è molto più complicata perché se già abbiamo delle difficoltà  a trovare chi investe nel rugby maschile, nel rugby femminile queste difficoltà  si decuplicano. Tuttavia, io sono da tanto tempo in contatto con una struttura europea, che sta cercando di mettere in piedi un circuito professionistico femminile, europeo appunto, abbiamo parlato, ho visto le carte su come potrebbe essere strutturato. Ovviamente, se tutto sarà a posto e potrà essere utile agli obiettivi della Federazione, credo che porteremo una squadra di rugby femminile anche in Italia, che permetterà a chi lo sceglie, non c’è un obbligo, di poter fare anche del professionismo rugbistico, per migliorare la sua qualità, di conseguenza. Ovviamente questo non comporterà che solo le ragazze che faranno parte di questa struttura possano giocare in Nazionale, anche perché vorrei che fosse chiaro che è vero che coloro che giocano nelle franchigie maschili sono quelli che hanno più qualità, e probabilmente più possibilità di giocare con la maglia della Nazionale. Ma la maglia della Nazionale è una maglia che è in prestito, e può essere raggiunta, se c’è la qualità da qualsiasi giocatore italiano; di conseguenza io non so, francamente, se è una questione solo tecnica a cui mi inchino. Nel senso che: io mi disinteresso da tutto quello è tecnico, quindi se la decisione è solo tecnica, perché comunque i giocatori che fanno parte delle franchigie maschili sono i migliori in assoluto, però  se invece c’è una convenzione a dire che in Nazionale ci possono andare soltanto questi, direi anche di no. Nel senso che credo che anche i ragazzi che per tanti motivi rimangano a giocare nel campionato domestico, ma potrebbero avere queste qualità ,gli deve essere data in qualche modo di dimostrarlo. Poi, chiaramente,  giocano sempre i migliori “.
Il nome del massimo campionato
 “Io ne ho vinti quattro di campionati di serie A, e mi piacerebbe molto se fossero rimasti di serie A, perché poi c’è chi parla di Eccellenza, di Top 12, Top 10, c’è un po’ di confusione. Sarei d’accordo che chiamarlo serie A e basta sia la cosa migliore, però, in questo caso, visto che effettivamente il rugby professionistico, in Italia, è di poche squadre, il nome di Serie A anno lo vogliamo lasciare a quella che è la prima divisione di rugby non professionistico, che ha una dignità importante. Infatti, l’idea non è quella di trasformare l’albo d’oro in Top 10, Top 12, campioni d’Italia si SuperLega, ma  è quella di fare il Campione d’Italia di serie a-Campione Italiano di SuperLega:  sono due titoli uguali e diversi.  Ma queste  sono questioni semantiche che possiamo in qualche modo sempre risolvere”.
Il professionismo del Rugby in Italia
“All’inizio, anche il rugby può averlo, perché quando la crescita sarà maggiore, se ci sarà perché speriamo sempre ovviamente di fare le cose per crescere, saranno necessarie altre strutture. E in questo tempo io spero proprio che riusciamo a portare il rugby  nelle grandi città, nelle grandi metropoli. Perché se diventa un qualcosa di interessante, chi investe nello sport può cominciare a pensare che anche il rugby potrebbe essere  importante o interessante su cui investire. Non è per niente facile tutto quello che ci proponiamo di fare, però se continuiamo a pensare che ci dobbiamo accontentare di pochissimo, è difficile che si possa puntare a qualcosa di più; è vero che, in questo momento, il rugby si gioca principalmente al Nord, ma la SuperLega potrebbe portare il rugby tutte le regioni. Chi  proibisce alla Sicilia di  costruire una squadra di SuperLega, se le forze economiche, ma anche istituzionali, di quella regione, lo vogliono fare? Il programma di Renovazio, che potete leggere sul sito, lo dice: in SuperLega possono giocare anche le associazioni fra Club, possono giocare anche le associazioni territoriali; non c’è un blocco. C’è però un particolare: devono continuare a fare i campionati nazionali di qualsiasi categoria, anche la quarta categoria, ovviamente, senza passaggio di giocatori, perché i loro settori giovanili possono coltivare uno sbocco in prima squadra.  Quindi non vedo il “pericolo” che il rugby si “Regionalizzi”. Io invece vedo una grande opportunità, per portarlo da tutte le parti. Sicuramente una struttura, come quella delle Fiamme Oro anche se poi dopo ci sono anche  lì distinzioni tra professionismo e dilettantismo, non credo che abbandonerà questo tipo di attività. Anzi. E io penso che possano nascere anche in altre regioni, come la Campania che comunque è una regione ricca, perché no? Certo, ci sono delle situazioni difficili, ma in realtà si possono trovare le risorse per fare questo; l’importante è far capire a tutti quanti che la musica è cambiata, che la Federazione è seria, trasparente, i Club lo sono e lo diventano altrettanto, su cui si può investire con sicurezza e tranquillità, in uno sport che comunque piace, perché il rugby piace, i valori di cui si parla sempre piacciono. Il problema è che i valori di cui si parla sempre, abbiamo smesso di professarli. Ci si sta inaridendo. Ora, io non sono un esperto di marketing, ma credo che, anche dal punto di vista del marketing sia uno degli errori più grossi che abbiamo fatto, perché quei valori  sono effettivamente un qualcosa che ci rende diversi dagli altri sport, ma ci rende diversi se li professiamo, e li applichiamo ogni giorno,  dai dirigenti agli arbitri , dai giocatori  agli allenatori fino ai giornalisti, perché chi scrive di rugby deve scrivere quello che il rugby professa. La prima cosa che, da Presidente Federale ho avuto, sono i 48 punti che l’Italia ha preso dal Galles. La colpa è mia, in questo momento, me la prendo io, cercherò ovviamente di non prenderne più così tanti in futuro, e farò di tutto. Però una piccola parte di responsabilità ce l’hanno tutti i presidenti  che ieri mi hanno eletto in quella maniera: certo li ho ringraziati , ma ho anche detto che hanno messo un peso tanto grande per una sola persona. Io sono molto piccolo per questo, non ci riuscirò mai a risolvere questo da solo, se  ognuno di voi non mette una piccola parte di responsabilità in questa storia, se ogni giorno chi apre i cancelli del suo Club non pensa anche “Sto facendo questo per tutti quanti”, e non solo per me. Altrimenti non vado da nessuna parte, e purtroppo questa grandissima occasione che mi è stata messa in mano, resterà nella mia memoria per qualche cosa che potevo fare non sono riuscito a fare; a me non piace tanto perdere le partite e neppure fallire nelle cose, come dimostra il fatto che ho vinto le elezioni a presidente federale dopo averci provato altre due volte, per cui non ho tanto intenzione di arrendermi prima di aver fatto qualsiasi cosa, però non ci riuscirò mai da solo. Questo lo so perfettamente e non mi illudo”.