soldi (foto di repertorio)
soldi (foto di repertorio)

No alla riduzione dell’IRAP, sì invece all’accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione e all’’avvio dei cantieri per le opere già finanziate. Questo in sintesi il messaggio che  il segretario generale della Cgil veneta, Christian Ferrari, ha dato in risposta a Confindustria Veneto. Qui di seguito la dichiarazione di Ferrari:

“Il Presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, ha lanciato diverse proposte per la cosiddetta fase 3, ossia per la ripartenza produttiva del Paese. Sull’accelerazione dei pagamenti della Pubblica Amministrazione e l’avvio dei cantieri per le opere già finanziate, non possiamo che essere d’accordo. Non invece con la richiesta di taglio dell’IRAP. E la ragione è molto semplice: si tratta dell’imposta che finanzia – per miliardi di euro – la sanità pubblica. Crediamo che l’emergenza Coronavirus in corso abbia insegnato a tutti, anche a chi sosteneva fino a ieri che non potevamo più permetterci la copertura sanitaria universale, che un Paese civile non può tagliare – come avvenuto fin qui – un servizio decisivo per la stessa vita dei suoi cittadini. L’alternativa all’IRAP è ricorrere alla fiscalità generale – cioè a lavoratori e pensionati – o peggio far pagare ai pazienti le prestazioni. Questo evidentemente non è accettabile, se consideriamo che solo in Veneto sono centinaia di migliaia le persone che rinunciano a curarsi perché non possono permetterselo. Per loro, e per molte lavoratrici e lavoratori i problemi economici non sono cominciati con l’arrivo del Covid 19, ma ne soffrivano anche prima. Precarietà, salari insufficienti a vivere dignitosamente, disoccupazione e sottoccupazione. Questa constatazione ci consente di valutare anche la parte di proposte dell’associazione degli industriali veneti che riguardano l’organizzazione del lavoro, attraverso nuovi modelli e nuovi paradigmi. Disponibilissimi a discuterne, ma nel senso di mettere al centro innovazione e qualità del lavoro, favorire la piena occupazione anche attraverso la riduzione dell’orario, garantire la sicurezza e la salute, dare stabilità e certezze a chi lavora. A cominciare dall’imprescindibile funzione dei contratti nazionali, che vanno rinnovati e non certo indeboliti. Se invece si pensa di andare in direzione opposta, riproponendo la vecchia ricetta della competitività sul basso costo del lavoro, non è difficile immaginare ciò che accadrà: non usciremo dalle difficoltà, non rilanceremo i redditi né gli investimenti, non ridurremo le diseguaglianze. Tutte cose che già stavano accadendo all’inizio di questo 2020. Anzi, che accadono da decenni”.