Molti la chiamano ludopatia, cioè dipendenza dal gioco. Un termine improprio e offensivo, secondo gli esperti, per chi ama il gioco senza essere vittima dei suoi abusi. Meglio allora usare un’altra parola, azzardopatia, quando si parla di una delle dipendenze più preoccupanti della società dei consumi. Il tema è stato affrontato in un incontro a Mestre, organizzato dall’Ordine dei Giornalisti e dalla rivista Gioco News, una delle più importanti del settore: il direttore, Alessio Crisantemi, ha ricordato come il Veneto sia una delle regioni più interessate dal fenomeno del gioco e quindi anche dalla sua appendice illegale, il gioco d’azzardo.
Oggi i familiari di chi soffre di azzardopatia possono chiedere l’inibizione nei casinò per i propri parenti. Mossa impossibile, invece, per chi si limita alle oltre 400mila slot machine seminate qua e là in Italia. Il gioco è innanzitutto un grosso affare: ben 80 miliardi di euro i ricavi annuali, anche se poi l’80% viene restituito in vincite e il 16% va all’erario. “I soldi del gioco – sostiene Roberto Fanelli, direttore dei Monopoli di Stato – servono allo stato: sono 8 miliardi di entrate all’anno, mezzo punto del prodotto interno lordo. Diverse le esigenze da conciliare: ridurre l’offerta in bar e tabaccherie, limitandola a 6 macchinette e in spazi delimitati, e maggiori controlli e regolamentazioni delle pubblicità”.
A giocare sono per lo più maschi ultraquarantenni, in crescita anche giovani, anziani e donne. Per loro, per lo più, per bingo e lotto. Ben 750mila le persone che giocano on line, spendendo 80 euro a testa al mese. Tanti e diversi i casi tra chi gioca un Gratta & vinci da un euro e chi arriva ad indebitarsi. “Si inizia – spiega Marisa Galbussera, psicanalista e psicologa del Sert di Padova – con l’assuefazione al gioco per rifarsi dalle perdite, che porta a nervosismo, aggressività e disturbi del sonno. Poi si nega il fenomeno. Alla fine si fanno debiti, furti e si perde il controllo di sé, fino alla depressione o in casi estremi al suicidio”.
Gigi Fincato